Cos’è il CBD?
Iniziamo a vedere di cosa si parla quando si chiama in causa il CBD. Metabolita della Cannabis sativa, è noto anche con il nome di cannabidiolo. A differenza del THC, è privo di effetti psicoattivi.
Il suo isolamento è stato concretizzato per la prima volta nel 1939 grazie al team scientifico guidato da Alexander Rogers e Todd Adams. Inizialmente, però, non fu possibile determinare la sua struttura chimica. La svolta arrivò nel 1963 quando, presso l’Università di Gerusalemme, Raphael Mechoulam e Yuval Shvo riuscirono a inquadrarla chiaramente.
Nel 1964, arrivò invece l’isolamento del THC, il principio attivo della cannabis più famoso in assoluto e notoriamente psicoattivo.
Tornando al CBD, rammentiamo che, nel corso degli anni, le sue proprietà sono finite più volte sotto la lente della scienza. In grado di favorire un piacevole senso di relax senza per questo alterare la percezione sensoriale, sarebbe anche in grado, come evidenziato da uno studio pubblicato nel 2007 ed effettuato da un team del California Pacific Medical Center Research Institute, di bloccare il gene che determina la diffusione delle metastasi a seguito dell’insorgenza del tumore al seno (l’attività citostatica, di rallentamento della crescita cellulare è tuttora da dimostrare nell'organismo umano).
Utile contro il dolore cronico e contro i sintomi dell’epilessia, il CBD non ha effetti collaterali.
CBDA: di cosa si tratta?
Di cosa si parla, invece, quando si chiama in causa il CBDA? Con questo acronimo, si inquadra l’acido cannabidiolico. Questo composto, si trova nei tricomi della cannabis. Per essere precisi, la sua presenza è frequente soprattutto nei tricomi dei fiori femminili senza semi o, meglio ancora, nelle gemme.
Che rapporto c’è tra CBD e CBDA?
A questo punto, è naturale chiedersi che rapporto ci sia tra CBD e CBDA. Il secondo è il precursore chimico del primo. Entrando nel vivo del percorso che permette il passaggio da CBDA a CBDA, ricordiamo che tutto si basa sul processo di decarbossilazione. Questa reazione chimica si contraddistingue per la perdita, da parte di un determinato composto, di una molecola di anidride carbonica.
Cosa provoca la decarbossilazione? Niente meno che Madre Natura! La reazione chimica appena citata, infatti, si concretizza quando la pianta si secca a causa, per esempio, dell’esposizione alla luce solare. Il medesimo effetto può essere ottenuto bruciandola, ma anche fumandola o vaporizzandola.
Le domande non finiscono certo qui! Da non dimenticare, per esempio, sono gli interrogativi di chi si chiede se il CBDA sia legale. La risposta è affermativa. La legislazione attuale lo considera affine al CBD (la legge 242/2016 prevede che la percentuale di THC deve essere inferiore allo 0,6%).
Cosa dire, invece, in merito agli effetti? Che, a parità di quantità, quelli del CBDA sono più potenti rispetto a quelli del cannabidiolo. La cosa non deve sorprendere. L’acido cannabidiolico, infatti, interagisce con il recettore CB1 del sistema endocannabinoide del corpo umano. Il recettore sopra citato si trova nell’encefalo, per la precisione a livello dei gangli bassi.
Il CBD, invece, si contraddistingue per un’azione che riguarda, oltre al recettore CB1, anche quello CB2, che si trova nelle cellule del sistema immunitario, coinvolgendo anche, seppur in misura minore, anche il midollo spinale, la milza, l’apparato scheletrico, senza dimenticare il fegato, il pancreas e il colon.
Concludiamo rammentando che, tra i benefici del CBDA, rientra la sua capacità di attivare i recettori della serotonina, con ovvi vantaggi sul tono dell’umore, ma anche - cosa che non tutti sanno quando si parla del sopra citato neurotrasmettitore - sull’efficienza della motilità intestinale. Inoltre, il CBDA ha dimostrato di essere efficace anche dal punto di vista antinfiammatorio.