Incontro con Martin Scorsese: ‘Sono affascinato dall’archeologia sottomarina’

Cinema / Intervista - 07 October 2024 15:15

Scopri l’intervista a Martin Scorsese: i film, i nuovi progetti.

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Film Tully

Martin Scorsese è a Torino per ritirare il Premio Stella della Mole durante una serata in suo onore nell’Aula del Tempio della Mole Antonelliana. 

Può raccontarci la sua passione per il restauro e per la conservazione dei film classici?

Quando abbiamo cercato copie di film che volevamo vedere, negli anni ’70, non c’era possibilità di rinvenire del materiale. Nel 1970 con Brian de Palma e James Cox, e lo stesso Spielberg, a Los Angeles ci rendemmo conto che oltre che ottenere l’autorizzazione ad ottenere il loro materiale, quei lavori sarebbero andati perduti. Si tratta dei film dal 1935, ed erano i nostri film ispiratori. Ci chiedevamo chi si prendesse cura della longevità del lavoro: fino al 1952 si parlava di nitrati che si potevano incendiare. Non interessava a nessuno, e noi ci battemmo perché si trattava di un patrimonio culturale. Abbiamo trovato anche edizioni complete di film, e ciò che organizzammo era un pellegrinaggio da uno studio all’altro, per avere informazioni.


Film Killers of the Flower Moon - video

Il sistema della stampa a colori era limitata: in sei anni il rosso poteva diventare rosa. Vedemmo, in un museo, Niagara e Quando la moglie è in vacanza, con Marilyn Monroe, bellissimo melodramma in technicolor. Il mio collega disse che la stampa era scolorita, e disse che potevamo mettere un filtro blu, ma tutti gli spettatori si ribellarono, perché il colore mutava.

Abbiamo cominciato a cercare ogni singolo titolo, iniziando con Il Gattopardo: lì alcune scene erano rosa. Nacque poi la pay tv, e da lì cominciai a vedere film di Polanski, seguendo i vari film e stampando nuove copie, mostrandole al Museo di arte moderna.

Fino al 1989 non c’era molto interesse per questo tipo di attività inerente la conservazione. “Chi se ne importa” dicevano i dirigenti degli studios. Però quello che stavo portando avanti era importante: un anno dopo, con Kubrick, Spielberg e altri creammo la Fondazione, e presentammo a ogni capo di studio un volume di film che possedevano. Mentre giravo Quei bravi ragazzi, mi occupavo anche di questo.


Può parlarci dei prossimi progetti?

 Sto lavorando al film su Gesù, ma ci vogliono budget per realizzarlo, così come per altri progetti. Ormai mi piace creare una commistione tra fiction e non fiction: sono stato a Taormina nei giorni scorsi, perché sono affascinato all’archeologia sottomarina. E ci tornerò, per visitare la città in cui anche mio nonno, Francesco. Tutto il mio lavoro tende a mettere insieme dei tasselli, per raccontare da dove veniamo. Qualche giorno fa hanno estratto dei reperti a Ustica, e tutto ciò è molto affascinante. La caduta dell’occidente e l’avanzare dell’oriente, con la storia di Bisanzio: mi sarebbe piaciuto raccontare ciò, e poi c’è riuscito Ridley Scott con Il gladiatore, e l’ho ammirato molto per questo. Perché prima che lo facesse lui, gli studios rispondevano che era troppo costoso, e dopo affermavano che ormai era già stato realizzato. 

 Nei suoi film il tema della violenza è molto presente.

Non si può esultare di fronte alla violenza, ma non possiamo negare che faccia parte del nostro essere. A volte è brutta, ma è la stessa vita che ho visto quando ero giovane. E tuttora ritorna, in maniera differente: come diceva Fellini quando girava il Satyricon e – quando sollevava i sanpietrini - vedeva gli antichi romani, anche Gang of New York mi sembra oggi che riecheggi un’era sempre presente. Intendo esplorare questi aspetti: Killer of the Flower Moon racconta un uomo che adora quei selvaggi che moriranno. E ciò succedeva, noi arriviamo, prendiamo la loro terra e loro devono sparire. È l’accettazione.

Come ha inciso lo streaming nel suo lavoro?

Lo streaming ha inciso su The Irishman: abbiamo capito che avremmo dovuto adottare tecniche nuove, molto costose. Netflix era disponibile a finanziare. Nei film per il cinema, se il prodotto è lungo tre ore, occorre tagliarlo, come per Novecento, C’era una volta in America. Ora invece lo spettatore si siede sul divano, e non è più necessario accorciare un’opera.

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