Elle, incontro con il regista Paul Verhoeven: 'la vita non è un genere'

Cinema / Intervista - 10 March 2017 16:59

"Elle" è il film di Paul Verhoeven con Isabelle Huppert. Abbiamo partecipato all'incontro.

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Abbiamo incontrato a Roma il regista Paul Verhoeven che ha presentato il film “Elle”. La storia è quella di una donna, Michèle che subisce una violenza in casa da un uomo incappucciato: dopo quel gesto intende scoprire chi sia l’uomo, e quando pensa di esserci riuscita comincia a nutrire un’anormale attrazione per lui.

Il film ha vinto il Golden Globe come Miglior film straniero, e la protagonista Isabelle Huppert quello come attrice in un film drammatico.

D. Considera il tema del film eversivo?

Paul Verhoeven. Il terzo atto del film è una parte difficile, non accettata come argomento dagli statunitensi. Ad esempio il momento in cui la protagonista Michèle passa da essere vittima ad avere un rapporto sadomasochista con il suo violentatore non ci ha permesso di trovare finanziamenti in Una. E neanche attrici.

D. Il film alterna noir e dramma. A che genere appartiene?

P. V. L’ironia era già accennata nel romanzo Oh..." di Philippe Djian da cui è tratto. Anche lì si alternano scene di grande violenza a momenti sociali, come i rapporti che Michèle intrattiene con i suoi amici. C'è del noir, ma non volevo che fosse collegato con un genere specifico: a due terzi del film scopriamo chi è il violentatore, ma il rapporto sociale che lei intrattiene con gli altri è parimenti importante. La vita non è un genere specifico, quindi non mi piace neanche incasellare così un film. Nella quotidianità della nostra giornata al mattino si ascoltano delle cose tremende, tragiche e la sera si ride davanti alla televisione. Il cinema ha ultimamente accentuato queste divisioni di generi. Così Michèle che ha avuto problemi durante la sua infanzia, da adulta sviluppa rapporti strani con le persone.

D. Dalla protagonista Catherine Tramell del film “Basic Instinct” a Michèle di “Elle”, lei ha spesso ritratto donne tormentate.

P. V. Non sono particolarmente attratto da donne tormentate. Non considero la protagonista del film tormentata. Come in “Black Book” (2006) in cui la cantante ebrea Rachel Stein scappa da Berlino per rifugiarsi nei Paesi Bassi e sfuggire ad Auschwitz, perché decide di vivere. Michèle ha avuto un padre che quando lei era bambina ha ucciso 27 persone, non vuole essere una vittima. Quando agli amici con cui esce a cena dice "credo di essere stata violentata", conferma che lei non vuole essere una vittima.

D. Con lo sceneggiatore David Birke avete apportato modifiche al romanzo?

P. V. Non abbiamo inventato nulla, abbiamo seguito la situazione familiare presente nel romanzo.

D. Come è avvenuta la produzione?

P. V. Negli Stati Uniti c'è meno libertà che in Europa, basta vedere cosa sta succedendo ultimamente. Isabelle Huppert amava il romanzo, e aveva contattato lo scrittore Philippe Djian già da tempo. Poi ci si rivolse a me, e io - vivendo a Los Angeles - pensai di coinvolgere anche attori del luogo per effettuare la produzione lì. Abbiamo cercato qualche attore in USA, ma nessuna donna voleva interpretare dei ruoli nel film. Così siamo tornati in Francia, Isabelle ha accettato subito di lavorare nuovamente al film. Si è subito adattata alla sceneggiatura, sa cosa fare senza dover cercare l'attenzione del pubblico.

D. La protagonista è proprietaria di un’azienda di videogame. Come mai questa scelta?

P. V. Il fatto che sia una manager di un’azienda di videogame derivava dalla professione che ricopriva nel libro, in cui era a capo di un team di sceneggiatori televisivi. Da un punto di vista visivo era difficile esistere a venti persone che parlavamo di sceneggiatura: sul film sarebbe risultato troppo astratto. Una sera ero a cena con mia figlia è mia moglie a Los Angeles, posi il dubbio sulla professione della protagonista del film. Mia figlia mi rispose che una società di videogiochi poteva essere interessante: proposi il dettaglio allo sceneggiatore David Birke e scoprii che lui era un fanatico dei videogiochi. Quindi si è creata una narrazione parallela: abbiamo preso un videogame sviluppato da una società di Parigi che ci ha concesso qualche scena.

D. Nei suoi film si può affermare che traspare una sorta di immoralità?

P. V. Nei mie film non c'è morale. Ad esempio nel film lei ha relazioni con due uomini: l'idea che essendo sposato occorra stare solo con una donna, dubito che sia realizzabile.

D. Quale sarà il suo prossimo progetto?

P. V. È ambientato in Toscana, a Pescia nel 1600. È ispirato al saggio di Judith C. Brown dal titolo "Immodest Acts - The life of a lesbian nun in Renaissance Italy”. Racconta ciò che accadde in un monastero dove viveva una mistica, la lesbica Benedetta Carlini. Il titolo provvisorio è “Blessed Virgin”.

Inoltre sto lavorando a "Jesus of Nazareth", tratto dal mio saggio: è una revisione della figura di Cristo imperniata sul Vangelo secondo Marco. Gesù è visto come un rivoluzionario e un attivista politico.

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