Io, Daniel Blake: recensione del film essenziale bisogno della dignità dell'uomo
Cinema / Recensione - 22 October 2016 08:00
Dave Johns è Daniel Blake, il protagonista dell'acclamato film del regista Ken Loach che conquista con una regia priva di orpelli e che guarda, scruta nella dignità dell'essere umano, di
Ken Loach dirige Io, Daniel Blake, un film incentrato sulle difficoltà di un individuo nel barcamenarsi in una società che fa di tutto per affondarlo, calpestando la sua dignità. Ma il film Palma d’Oro al Festival di Cannes non ci sta e grida giustizia per tutte le persone che, in situazioni di disagio economico, chiedono aiuto allo Stato, ottenendo tutt'altro.
La trama si poggia sulla figura dell’ormai quasi sessantenne Daniel Blake (Dave Johns), un falegname di professione. Necessitando dell'aiuto dello Stato in una situazione di difficoltà legata ad un precario stato di salute che non gli permette di compiere il suo ordinario dovere di lavoratore, Daniel fa la conoscenza di Katie (Hayley Squires), una giovane madre single che deve badare a due bambini piccoli. Uniti da un comune destino di sofferenza ed abbandono Daniel e Katie vengono lentamente soffocati dal sistema burocratico che caratterizza la società inglese, schiacciati dalla pesante morsa del bipolarismo che vede da una parte i lavoratori e dall’altra gli sfruttatori dei sussidi, senza lasciare spazio a quella fetta intermedia di cittadini che non possono più lavorare.
Ken Loach propone un film che si interessa, discute e mostra i problemi insiti in una società che non concede ai più bisognosi. Io, Daniel Blake si focalizza sull’uomo, sul singolo, espressione della massa, e vuole essere umano ritratto del disagio sociale di quelle persone che si avvalgono dei sussidi statali, venendo discriminate e costrette a vedere la propria esistenza tramutarsi in un paradosso irrisolvibile: si è chiamati a cercare lavoro altrimenti si è sanzionati e si perde il sussidio statale, ma come si fa a rendersi disponibili per lavorare se non si è nelle condizioni per farlo?
Io, Daniel Blake si prefigge come sacro obiettivo quello di dipingere l’essenzialità di cui un uomo ha bisogno per vivere con dignità la sua esistenza, dunque decide di non avvalersi di orpelli di alcun tipo, ma di una regia intensamente scarna, minimalista, essenziale, capace di trafiggere al cuore della società.
Vincitore della Palma d’Oro alla 69° edizione del Festival di Cannes, Io, Daniel Blake narra un dramma esistenziale con gli occhi innocenti dell’ironia e del paradosso, chiavi di lettura che aggiungono un gusto ancora più amaro ad una vicenda vissuta giornalmente da migliaia di persone in una società, quella inglese, dipinta come la patria del dualismo tra lavoratori e sfruttatori dei sussidi, catalogati erroneamente come non dediti al lavoro, invece di essere identificati come non idonei al lavoro e quindi impossibilitati per ragioni che vanno al di là delle loro umane possibilità.
E allora, se la società non offre tempo e spazio per l’accoglienza dei suoi stessi cittadini, essi si fanno forza l’un l’altro, ripiegando con orgoglio sull’unico strumento che rimane loro da sfoderare, la solidarietà. In quella che dovrebbe essere una società fondante sull’unione tra più individui che adempiono ai propri diritti e doveri per il bene comune, quelli che non possono farsi carico dei doveri diventano testimoni dei diritti e, facendo fronte comune contro l’ingiustizia dilagante, trovano un umano rimedio per andare avanti.
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