Recensione film Cirkus Columbia: affresco della guerra di Danis Tanovic
Danis Tanovic torna con un film che mescola humour e dramma

Recensione Cirkus Columbia: affresco della guerra. Il regista Danis Tanovic ci aveva già abituato alle fusioni tra situazioni belliche e emozioni: in No Man\'s Land (2001), Triage (2009) con Colin Farrell.
Qui ci porta in una storia ambientata nella Bosnia ed Erzegovina, nel 1991. Il comunismo è caduto e Divko Buntic torna al villaggio dov’è cresciuto per riappropriarsi della casa di famiglia. Il suo esilio tedesco è durato 20 anni. Aiutato a sfrattare la moglie abbandonata Lucija e il loro figlio ventenne Martin, Divko tenta di riavvicinarsi a quest’ultimo, invitandolo a vivere con lui e la sua futura moglie Azra. Ma Lucija teme che il figlio l’abbandoni per il padre.
Intanto la Croazia si è separata, gli iugoslavi devono scegliere la parte da appoggiare: si inizia a bombardare Dubrovnik. Il sentimento che sorge ormai negli abitanti non è più quello di adeguarsi, ma decidere se andarsene.
L’humour nero non manca, se poi tutta la città si mobilità per cercare il gatto nero di Divko (stesso umorismo di altro autore slavo, Emir Kusturica in Gatto nero, gatto bianco, 1998). E il rapporto tra Martin e la matrigna Azra diventa quasi ancestrale (con lo stesso senso del rapporto familiare presentato in l’Enfer, tratto da Krzysztof Kie?lowski e a sua volta ispirato a Medea di Euripide). Tanovic manovra quindi con abilità i fili che gli sono più familiari, quelli dell’impasto tra politica e vicende familiari: chi sia spetterebbe che tornando dopo 20 anni si volesse spodestare la moglie e il figlio? Chi si aspetterebbe che attraverso la ricerca di un gatto si arrivi a scoprire l’amore? E Tanovic è coraggioso nel rappresentare questa inversione di tendenza rispetto alle trame classiche, che procedono per attese delle spettatore poi puntualmente confermate.
Tutto in Cirkus Columbia (tratto dal romanzo del noto scrittore croato bosniaco Ivica ?iki?) lascia trapelare il senso di evasione dalla necessità, che diventa quasi desiderio di fuga. Dalla fotografia sottoesposta da cui sembra essere necessario fuggire, alla recitazione (magistrale quela di Miki Manojlovic) volontariamente forzata.
È proprio la deviazione dal buon senso che ha fatto del primo film di Tanovic, No Man\'s Land (2001) una delle opere prime più premiate della storia del cinema (in primis, l’Oscar come miglior film straniero). E che fa di Cirkus Columbia un magistrale affresco del rapporto tra guerra e individuo.
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