L'uomo che verrà, di Giorgio Diritti - intervista al regista
Cinema / Intervista - 22 January 2010 16:40
"Io sono nato a Bologna, nei pressi del luogo dove si sono svolti i fatti, e già questo ha influito molto nel destare il mio interesse verso questa vicenda. Qualche anno fa, monsignor Gheraldi, presidente della Caritas che io conoscevo, mi donò un libro, 'Le querce di Monte Sole', che trattava della strage perpetrata dalle truppe naziste contro i suoi compagni di seminario nell'autunno del 1944, all'interno del contesto tristemente conosciuto come la strage di Marzabotto. Da lì mi sono avvicinato al tema, e mi è nato dentro una sorta di senso morale, il dovere di raccontare questa storia con un film. Mi sono posto il problema di come rappresentarla: non volevo assolutamente fare l'ennesimo film storico, né il solito film dove i buoni fossero contrapposti ai cattivi. Da lì poi è partita la fase di documentazione, di ricerca sul territorio e devo ringraziare anche la Cineteca di Bologna che ci ha messo a disposizione materiale fotografico e documenti davvero unici e fondamentali per la buona riuscita del film. Ho voluto creare un'occasione per riflettere sul valore della vita, mostrando come i civili non vogliano la guerra, che arriva e infrange i nostri sogni, distruggendo le nostre vite. Dobbiamo contribuire a mantenere viva la memoria e l'attenzione per questi fatti sconvolgenti".
La co-sceneggiatrice Pedroni prende la parola per sottolineare come la svolta, il colpo di genio del film sia il punto di vista dal quale viene osservato e descritto tutto: i bambini. O meglio, la protagonista, Martina (una bravissima Greta Zuccheri Montanari), che rappresenta simbolicamente la comunità dei bambini che popola il film, caratterizzata da uno sguardo puro, innocente e curioso nei confronti della vita. Uno sguardo da recuperare, e da conservare, affinché la barbarie non si ripeta. (Emblematiche queste parole di Martina nel film: "Ecco una cosa che ho capito, che molti vogliono ammazzare qualcun altro. Ma non capisco perchè").
E sono proprio i bambini, le piccole vittime che morirono a centinaia, insieme a donne e anziani nella strage di Marzabotto, ad aver ispirato il personaggio di Martina al regista. Di non secondaria importanza sono state le interviste, gli incontri che Diritti ha tenuto con i molti sopravvissuti a quella strage, per cercare di restituire la verità con la maggior chiarezza possibile, attraverso i ricordi e le ricostruzioni di tante famiglie emiliane. La stessa famiglia protagonista del film, dice ancora Diritti, "è infondo una famiglia nella quale ci si immedesima, pur essendo un film di costume, se vogliamo. Nonostante gli eventi che racconto si svolgano nel 1944, le loro preoccupazioni e le loro vicissitudini sono le stesse che può vivere oggi una famiglia qualunque, le loro miserie riguardano anche noi". E in effetti ci si sente chiamati a far parte di quella famiglia, quasi come fossimo anche noi lì, presenti a tavola con loro, mentre stiamo guardando il film immersi nell'oscurità della sala.
Il produttore nonché socio del regista, Bachini, analizza l'aspetto finanziario del film, in particolare la provenienza dei fondi: "Fare un film come questo non è facile in Italia, perché sono temi delicati e ci vogliono anche un bel po' di soldi. Siamo riusciti a coinvolgere il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che ha creduto nel progetto; poi c'è stata la Film Commission Toscana, alcuni enti bancari privati, e la Rai Cinema è interessata ai diritti televisivi. Devo anche dire che l'aiuto degli enti locali, come i comuni interessati dalle scene girate, è stato importantissimo sotto tutti gli aspetti logistici. Grazie a Gaetano Blandini, responsabile del Ministero che ha concesso i fondi (in prestito, ricordiamolo ai non addetti), è stato possibile l'avvio del progetto".
Un altro aspetto interessante del film è senz'altro la lingua: infatti il dialetto è l'altro protagonista, con tanto di sottotitoli (scherzando, il regista dice "ci sono, ma potete anche non leggerli") che ci accompagnano sino alla fine. Benché sia probabile che ogni paesino, in quei tempi, usasse uno stesso dialetto, magari con sfumature differenti che variavano da zona a zona - e da qui l'importanza di rispettare la verità storica e culturale del territorio - più importanti del linguaggio appaiono i gesti, le emozioni che emergono nel corso della narrazione. "C'è un filo comune, fatto di emozione e di poesia" dice Diritti.
Poesia che è mantenuta da un cast fatto per la maggior parte da attori non professionisti, tra i quali un'ottantina di bambini.
Ma perché questo titolo, "L'uomo che verrà"? Il regista risponde così a Mauxa.com:
"Il titolo ha due valenze: primo, il tempo del film coincide con la gestazione della mamma di Martina, che darà alla luce questo 'uomo che verrà'. Il secondo motivo è più che altro un interrogativo che mi sono voluto porre, e una riflessione su come sarebbe stato il bambino nato da un contesto come quello, da una tragedia come quella. Che cosa avrebbe comportato sul suo sviluppo, sul suo carattere, sulla sua formazione".
Infine una confessione, sulle difficoltà del portare avanti un progetto come questo - circa quattro mesi di riprese, da settembre a dicembre - complesso e importante. "Ma il peso" dice l'autore, "non è stato solo sulle mie spalle, e la troupe e le emozioni che ho provato andando avanti nella lavorazione mi hanno aiutato ad andare avanti e mi hanno sorretto fino alla fine. Ho cercato la verità del realismo, per quanto riguarda la composizione visiva del film, cercando di trarre il massimo dalle testimonianze che ho ascoltato. Ecco cosa bisogna recuperare: il saper ascoltare".
Ci risponde con una nota secca Diritti, quando gli chiediamo che cosa ne pensa della condizione del cinema in Italia oggi, anche alla luce delle manifestazioni che alcuni esponenti del mondo del cinema hanno fatto davanti alle sedi di Rai e Mediaset a fronte della temuta e annunciata diminuzione dal 20% al 10% dei fondi per il cinema, destinati alla produzione di nuovi film e fiction televisive: "Il cinema italiano se la passa decisamente male, e per il futuro non vedo niente di positivo, se le cose non cambiano. Purtroppo chi è al governo non ha a cuore le sorti del cinema, avendo piuttosto il controllo di tre reti televisive e dovendo provvedere a quelle".
Ma la speranza c'è sempre, come ci dice questo bellissimo film, attraverso la testimonianza di Martina, speranza di un futuro migliore, costruito sulla memoria.
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