La Moglie di Frankenstein, forse il remake Universal ha il suo regista

Cinema / Horror / News - 26 April 2017 15:00

Reduce dagli incassi miliardari ottenuti con l'adattamento live-action de La Bella e la Bestia, Bill Condon è stato scelto per la missione di riproporre sul grande schermo un caposaldo del cine

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Film The Tender Bar - video

Stando a “Deadline” Bill Condon, regista dell’adattamento live-action de “La Bella e la Bestia” che ha fatto incassare alla Disney più di un miliardo di dollari in tutto il mondo, è stato contattato per sviluppare il remake de “La Sposa di Frankenstein”, pietra miliare del cinema horror che “A.V. Club” non esita a definire come “il più grande, il più ingegnosamente strano, e il più autoriflessivo” dei film dedicati ai “Mostri classici” della Universal. L'originale, uscito nel 1935 con la regia di James Whale, era interpretato da Elsa Lanchester e Boris Karloff.

Bill Condon ha un legame particolare con “La Sposa di Frankenstein”. Oltre a considerarlo uno dei suoi film “di mostri” preferiti in assoluto, nel 1999 ha vinto un Oscar per la miglior sceneggiatura non originale con “Demoni e Dei”, pellicola che aveva anche diretto, e in cui raccontava gli ultimi giorni di James Whale (interpretato in quell’occasione da Ian McKellen), morto suicida nel 1957. Il titolo stesso del film era una citazione proprio de “La Sposa di Frankenstein”.

Ma oltre ad essere un bravo sceneggiatore (ha ricevuto una nomination anche per lo script di “Chicago”), Bill Condon ha un’altra caratteristica che sicuramente lo rende molto appetibile ai dirigenti della Universal, ovvero la capacità di gestire enormi prodotti commerciali che per chiudere in attivo hanno bisogno di incassare cifre da capogiro. Ci è riuscito con “Breaking Dawn” parte 1 e parte 2, la doppietta finale che ha concluso “The Twilight Saga”, e l’ha riconfermato con “La Bella e la Bestia: film che, messi insieme, sono riusciti a incassare globalmente oltre 2,5 miliardi di dollari.

Il remake de “La Sposa di Frankenstein” si inserisce ovviamente nell’ambizioso progetto lanciato dalla Universal di creare un proprio universo condiviso, simile al Marvel Cinematic Universe, e popolato dai mostri che tra gli anni ‘30 e ‘50 hanno scritto la storia del cinema horror-gotico. Determinante per questo “Universal Monsters Cinematic Universe” sarà la performance al botteghino di “La Mummia”, con Tom Cruise e Russell Crowe, nelle sale a partire dal prossimo 9 giugno.

Come già accennato, “La Sposa di Frankenstein”, l'originale, è un film del 1935 a cavallo tra l’horror, il gotico e la fantascienza. Com’è facilmente intuibile dal titolo, è un sequel del “Frankenstein” del 1931, anche se da molti è considerato uno di quei rari seguiti effettivamente superiori al primo capitolo. Come “Frankenstein”, “La Sposa di Frankenstein” è diretto da James Whale; la Creatura è interpretata da Boris Karloff, mentre Elsa Lanchester appare nel doppio ruolo di Mary Shelley e, appunto, della Sposa.
Il film riparte immediatamente da dove il suo predecessore si era interrotto, e sviluppa una sottotrama ripresa dal romanzo originale di Shelley: Henry Frankenstein (non più chiamato “Victor” per venire incontro ai gusti del pubblico americano) decide inizialmente di rinunciare al suo progetto di “creare la vita”, ma viene spinto e infine costretto dal suo vecchio mentore, il Dottor Pretorius, a “costruire” una compagna di vita per la sua Creatura.

“La Sposa di Frankenstein” all’epoca fu ben accolto dalla critica, ma anche le recensioni più lusinghevoli ci tenevano a ribadire che la qualità dell’opera era limitata dal genere di appartenenza: insomma, era bello, “per essere un film horror”. Con il tempo invece la sua reputazione non ha fatto che rafforzarsi e crescere, al punto che oggi, su “Rotten Tomatoes”, il film ha un’approvazione del 100%, sulla base di 41 recensioni. “La Sposa di Frankenstein” è considerato un autentico classico, “il migliore fra tutti gli horror gotici”, una prova di bravura sia tecnica che registica con una storia la cui complessità è (anche) dimostrata dalle innumerevoli interpretazioni accademiche a cui si presta.

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