Brutti e cattivi, 'i contrasti tra tragedie e la commedia': intervista all'attore Filippo Dini
Cinema / Comedy / News - 23 October 2017 08:00
Mauxa ha intervistato l'attore Filippo Dini, protagonista del film "Brutti e cattivi" e regista a teatro de "La guerra dei Roses".
“Brutti e cattivi” è il film Cosimo Gomez nelle sale. La storia è quella di quattro persone che decidono di realizzare una rapina, pur se ognuna di loro ha delle menomazioni fisiche.
Mauxa ha intervistato uno degli attori del film, Filippo Dini. Nel cast ci sono Claudio Santamaria, Marco D’amore, Sara Serraiocco.
D. Nel film “Brutti e cattivi” quale ruolo interpreti?
Filippo Dini. Io sono il fratello di Claudio Santamaria, anche lui senza gambe. Il mio personaggio è Il Pollo, ha avuto un destino migliore, è riuscito a studiare, lavora in banca, ed è riuscito ad emanciparsi da un passato travagliato. A differenza del fratello - Il Papero - che per tutta la vita ha navigato nella povertà. Si ritrova salvo, se non fosse che il fratello lo va a cercare. Io vivo su una sede a rotelle tecnologica, mentre Il Papero non ha niente. Non riesce a dire di no, al ricordo di loro due bambini, al legame di sangue. Questa unione lo riporta a collaborare di nuovo con la marmaglia di brutti e cattivi, che lo fanno rientrare all’interno di una operazione malavitosa.
D. L’atmosfera grottesca ha pervaso anche i momenti delle riprese?
Filippo Dini. L’atmosfera sul set è stata una delle più belle che io ricordi. Il regista Cosimo Gomez - alla sua prima regia - è stato eccellente, ha curato ogni piccolo dettaglio, non solo del film ma anche della relazione tra gli attori. C’era un’intesa creativa e serena. È riuscito a portare la gioia del suo lavoro, del desiderio di realizzarlo. Ciò ha definito anche il clima del film, in maniera giocosa e brutale. Con grande voglia di divertire.
D. Il film è anche una spaccato di una società senza remore. Cosa ne pensi?
Filippo Dini. È la storia di un ristretto numero di ultimi sulla terra. Più o meno menomati nel corpo: ad esempio Sara Serraiocco - Ballerina - non ha le braccia, e quindi è un film di brutti. Ma sono anche cattivi: non c’è nessuna pietà, alcun aspetto romantico. Nessuna banalità intorno al discorso della menomazione. C’è una ferocia e un cinismo estremo nel vedere questi ultimi che si vogliono riscattare.
D. Hai lavorato a teatro ne“Il Borghese Gentiluomo”, “La guerra dei Roses”, nel prossimo “Regalo di Natale”. Quali testi prediligi?
Filippo Dini. Con “Regalo di Natale” - tratto dal film di Pupi Avati, n.d.r. - debuttiamo a fine novembre. Da pochi giorni invece sono a teatro come regista de “La guerra dei Roses”. Ho scelto questo testo perché è una storia bellissima e molto contemporanea, con protagonista Ambra Angiolini e Matteo Cremon. Il testo è di Warren Adler, che scrisse il romanzo prima del film. Si ritrova nella commedia la stessa disperazione dei protagonisti del film, all’interno di una cornice molto comica, grottesca. Anche se dietro esiste una linea di tragedia - con il finale - e di commedia gretta, più propriamente di commedia nera. Ho gestito tutte le prove, la scenografia in quella linea.
Insieme ad Ambra e Matteo Cremon ci sono Massimo Cagnina e Emanuela Guaiana: dopo il debutto a Massa saremo al teatro Manzoni di Milano, all’Eliseo a Roma. Da quanto punto di vista la pièce è nella linea del film “Brutti e cattivi” di Cosimo Gomez. Qui non siamo in periferia ma in USA, ma il contrasto tra la tragedie e la commedia permane.
D. Da regista teatrale come interagisci con la troupe, con consigli o lasciandoli improvvisare?
Filippo Dini. Io sono in primis attore: conosco gli attori, come sono fatti. E da regista mi confronto su un piano che io percepisco bene. Credo che questa sia la mia cifra, il valore aggiunto. Ho un’interpretazione globale della messa in scena. Sempre con uno sguardo dall’interno, ho sempre lavorato con registi che non svalutavano il lavoro dell’attore, ma che lo esaltavano. Registi che facevano incontrare la loro linea poetica con gli attori che avevano da plasmare.
D. Si parla molto di teatro performativo, in cui l’attore lavora senza testo ma sul gesto. Lo approvi?
Filippo Dini. Giovanni, mi fai una domanda che assilla da tempo gli addetti ai lavori. Penso che questi tipo di teatro performativo innanzitutto sia indispensabile, perché la nostra cultura è più ricca. Anche la nostra possibilità di essere umani. E allo stesso tempo è importante il teatro intellettuale, il teatro di puro intrattenimento (come quello dei comici). All’interno di ogni specifica sezione credo si debbano fare delle distinzioni però. Nel momento in cui il messaggio è comprensibile solo ad una élite di spettatori, e risulta l’espressione di un singolo portata avanti da altre persone, e poi rappresenta se stesso attraverso altre dieci persone, per me non ha molto senso. Soprattutto se tutto ciò poi è comprensibile solo a me.
Ad esempio il regista Vincenzo Latella invece fa un teatro intellettuale, ma è una persona seria e di grande fascino.
D. Pensi che si possano avvicinare i giovani a teatro?
Filippo Dini. C’era una bellissima idea di anni fa, in Italia: Barbara Nativi dirigeva il teatro di Sesto Fiorentino vicino a Firenze. Aveva realizzato un progetto, collegato con un teatro inglese. Scrivevano dei testi per adolescenti, e poi questo testo veniva affidato alle scuole e i ragazzi lo mettevano in scena. I giovani venivano coadiuvati, e questi spettacoli erano rappresentati - oltre che in in Italia - anche a Londra. In questa maniera hanno creato molti spettatori del futuro.
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