Venezia 81: recensione film Harvest, allegoria disordinata
Cinema / Recensione - 03 September 2024 16:00
Scopri la recensione di Harvest, il film in concorso a Venezia 81 con Caleb Landry Jones: trama, cast, critica
Durante il medioevo, in un villaggio inglese arrivano tre sconosciuti. Le tradizioni sono messe a soqquadro, e Walter Thirsk (Caleb Landry Jones) cerca di fare da paciere. Intanto due residenti, incolpati di aver rubato capi di bestiame, sono messi alla gogna per una settimana: uno di loro, dopo qualche giorno, attaccato dai maiali, muore. La donna che viaggia con loro è rasata dei capelli, mentre urla per quanto sta accadendo.
Un mappatore (Arinzé Kene) ha lo scopo di tracciare i confini dei territori: all’inizio è benvisto, ma lentamente è incolpato anche lui di aver infranto l’ordine. Si tratta dell’ Inclosure acts, atti di recinzione che creano diritti di proprietà legali su terreni precedentemente detenuti in comune in Inghilterra e Galles. Seguono accuse reciproche, con Edmund Jordan (Frank Dillane), cugino del sindaco Master Kent (Harry Melling), che si rende conto di avere un diritto sulla terra e intende cambiare lo stile di vita del villaggio costruendo una chiesa: vuole recintare la zona e concentrarsi sulla pastorizia per aumentare i suoi profitti, nonostante gli abitanti del villaggio dipendano dagli avanzi del raccolto come forma di sostentamento.
La mancata allegoria del film Harvest
Il film Havest di Athina Rachel è tratto dall’omonimo romanzo di Jim Crace, pubblicato nel 2013. Se lì tale allusività narrativa era più giustificata, perché lasciava spazio all'immaginazione del lettore, nel film si rapprende in maniera disordinata. Non si comprendono le vere intenzioni dei tre sconosciuti, né la funzione del mappatore che - oltre il suo ruolo tecnico - dovrebbe avere ben altro spessore, vista la fine che gli è riservata. L’obiettivo della regista di mostrare un’allegoria di un male generico che pervade la vita di una comunità non è raggiunto, proprio perché minato dalle motivazioni smagliate dei personaggi.
Se il libro fu definito dal Wall Street Journal “un manuale sulla natura e la tradizione umana”, quest’ aspetto nel film viene sintetizzato nella regia, che si attanaglia sui modi di vita strambi degli abitanti, come il fatto di far sbattere la nuca ai bambini contro un sasso, per fargli comprendere da dove provengano. In un film tale aspetto didascalico, che in romanzo assolve a esigenze di descrizione tese a far aumentare il tempo della narrazione, appare solo un compendio, ed è più necessario per un documentario.
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