Venezia 73: recensione di Arrival, il sci-fi dove è tutto scritto... nel tempo

Cinema / Recensione - 02 September 2016 09:30

Per la seconda giornata di proiezione la Mostra del Cinema di Venezia 2016 ha offerto, tra i film in concorso, Arrival di Denis Villeneuve, che vede come coppia protagonista Amy Adams e Jeremy Renner.

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Film The Power of the Dog - Il potere del cane - video

“La memoria è una cosa strana”, così si apre il film Arrival, la nuova produzione che vede alla regia Denis Villeneuve e che si avvale delle interpretazioni di Amy Adams e Jeremy Renner per dar corpo ad uno sci-fi che sin dalle primissime inquadrature colpisce ed attrae senza perdere mai quel grado di magnetismo accumulato.

Louise, un’abilissima Amy Adams, è una madre che mostra in pochi secondi il suo rapporto con l’adorata figlia Hannah, culminante in tragedia. Ma quello che sembra essere l’inizio del film in realtà è sostituito dal vero incipit, testimoniante l’arrivo sulla Terra di una serie di oggetti non identificati. Dopo essere stata assunta dal governo americano per poter tentare di dialogare con la specie aliena che si annida all’interno di quelle che appaiono come navicelle, essendo un’esperta linguista, Louise entra in contatto dapprima con quello che diventerà il suo compagno di lavoro, il fisico Ian (Jeremy Renner), poi con i soggetti alieni. Dopo diversi tentativi di comunicazione, Louise prenderà lentamente coscienza della vera motivazione che ha spinto la specie aliena ad approdare nel mondo da noi conosciuto e dovrà accettare il dono che le ha riservato, permettendole di giungere ad una conoscenza superiore di se stessa e delle relazioni intessute con le altre pedine dell’universo.

Con Arrival Denis Villeneuve sconvolge la concezione e condizione temporale a cui è soggetto l’essere umano, ridefinendone contorni e direzioni. L’esistenza di ogni essere vivente è caratterizzata da un percorso che vede agli antipodi inizio e fine, il secondo diretta conseguenza del primo. Arrival mina la fiducia riposta nel concetto di tempo, inteso in modo tradizionale, per accentuarne il percorso ciclico. E allora la navicella sulla quale viaggia la specie aliena presenta un’emblematica forma che richiama l’ellisse, luogo geometrico dei punti che si rincorrono l’un l’altro senza poterne determinare inizio e fine, per poi introdurre la circonferenza come strumento base su cui poggia il linguaggio alieno, ossia la figura piana per eccellenza che, con i suoi punti equidistanti dal centro, esprime perfettamente il concetto di ciclicità attribuibile al tempo.

Disponendo di una colonna sonora capace di definire il mood e di colorare di un pathos tangibile l’intero lungometraggio, in cui a livello fotografico prevalgono tonalità di colore tetre ed opache, Denis Villeneuve propone uno sci-fi che coinvolge quasi come se fosse dotato di una forza di attrazione gravitazionale centripeta. Lavorando su doppio binario, da una parte prendendo in considerazione il linguaggio comunicante, dall’altra proponendo un’originale interpretazione del tempo, il film si mostra nella sua compattezza, non perdendo mai di vista lo script, che appare completo nel prestare attenzione a tutti i dettagli utili a creare il mondo semi-apocalittico nel quale si immerge la storia, mondo perfettamente centrante su se stesso.

La risultante derivante dalle considerazioni che si possono evincere mettendo in relazione passato, presente e futuro conduce ad uno ed un solo punto di arrivo, coincidente con la piena accettazione del destino che la vita, ed il percorso che la definisce, ha in serbo per ogni essere umano: la ciclicità con cui accadono gli eventi non permette di determinare cause ed effetti, essendo ogni evento la causa e allo stesso tempo l’effetto dell’evento antecedente e conseguente, tutto ciò che deve accadere è scritto e quindi all’essere umano non rimane che la pura e semplice accettazione.

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