Venezia 73: El Ciudadano Ilustre, originale burla, che passa per comicità e sfocia in dramma, della società
Cinema / Recensione - 05 September 2016 16:33
Mariano Cohn e Gaston Duprat firmano la regia di un lungometraggio che ironizza in modo brillante ed accattivante sul significato e sul compito dell'artista, tendendo verso una comicità amara c
Oscar Martinez è il protagonista della co-produzione argentino-spagnola intitolata El Ciudadano Ilustre (The Distinguished Citizen/Il cittadino onorario), il film diretto a quattro mani da Mariano Cohn e Gaston Duprat in concorso alla 73° edizione del Festival di Venezia.
Daniel Mantovani (Oscar Martinez), Premio Nobel per la letteratura, è uno scrittore di fama internazionale che deve rispondere a diversi impegni burocratici e di facciata. Tra tutti gli inviti prestigiosi che riceve decide, dopo un momento di esitazione, di recarsi al suo paesino natale, Salas, in quanto il sindaco vuole celebrarlo come cittadino onorario. Ritrovando vecchi amici, che aveva lasciato alle sue spalle non essendo più voluto ritornare in quel paese per cui ha sempre provato un profondo disprezzo, e scoprendone di nuovi, tra scontri e polemiche Daniel avrà modo di aprirsi al mondo, non senza criticarlo aspramente, ridicolizzandolo in modo comicamente efficiente, per un’esperienza che inciderà sulla sua carriera di scrittore.
Mariano Cohn e Gaston Duprat danno inizio alle danze de El Ciudadano Ilustre: un monologo d’impatto cattura l’attenzione dello spettatore, catapultandolo nella dimensione unica ed originale imposta dal film, un mondo ironicamente surreale che gira intorno al significato da attribuire alla figura dell’artista, del creativo. Oscar Martinez dà corpo ad un personaggio personificazione di un’invettiva intelligente e disarmante che mette in scena una geniale e gigantesca “burla” ai danni di se stesso e della sua “illustre” professione, facendo dell’ironia la sua arma privilegiata, sfociando spesso e volentieri in una viva e funzionale comicità che attrae senza mai divenire ripetitiva e stancante.
La cerimonia inizialmente presentata, quella che ha come oggetto la consegna dell’ambito Premio Nobel, viene posta implicitamente a confronto con la cerimonia seguente, quella di attribuzione del titolo di cittadino onorario, mettendo in ridicolo la prima in favore della seconda, decretando come un piccolo evento cittadino mal organizzato possa avere un valore ed una dignità ben maggiore rispetto ad un evento di importanza riconosciuta a livello internazionale. Curando non solo confronti di questo tipo, ma anche dettagli visibilmente comici, rimanendo sempre distaccati rispetto ad essi, preferendo totali a spezzettanti primi piani e campi controcampi, i registi espongono chiaramente come l’ironia a sfondo aspramente critico sia strumento nelle loro mani per virare prepotentemente verso scene chiave in cui è insita una drammaticità nostalgica che guarda all’impossibilità di decifrare la realtà così come appare per via delle molteplici interpretazioni attribuibili.
E allora, quando si riflette sulla semplicità, Daniel Mantovani, il protagonista che funge da guida in questo viaggio verso la riscoperta del significato delle cose, afferma che “la semplicità può essere sovversiva”, citando Franz Kafka, facendo notare la diversa accezione che si può attribuire ad una parola che sembra racchiude un unico significato, ma in realtà apre ad una serie di sensi che tendono verso il conflitto. E anche quando si riflette sul concetto di verità, Daniel fa presto presente che “la verità non esiste, esistono solo interpretazioni” molteplici di essa, stabilendo come ci sia sempre la possibilità di interpretare un concetto mettendosi dalla parte opposta rispetto al punto preferenziale da cui lo si leggerebbe.
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