Tommaso: recensione del film in cui tutto ruota intorno alla perdita del proprio bambino interiore
Kim Rossi Stuart dirige se stesso, attorniato dalle attrici italiane Camilla Diana, Cristiana Capotondi e Jasmine Trinca, per la sua opera seconda, presentata Fuori Concorso al Festival di Venezia 201

Dopo il suo esordio dietro la macchina da presa con Anche libero va bene, presentato al Festival di Cannes 2006, Kim Rossi Stuart torna in veste di regista per quello che appare come il sequel del suo primo lungometraggio, questa volta dal titolo Tommaso, mostrato in anteprima al Festival di Venezia 2016, nella sezione Fuori Concorso.
Tommaso rappresenta lo stadio superiore, che dovrebbe coincidere con la maturità, a cui approda lo stesso bambino presente in Anche libero va bene. Con un’ironia pungente ed un sarcasmo evidente Kim Rossi Stuart è protagonista, tanto dietro quanto davanti la macchina da presa, di una commedia visionaria che permette al dramma del bambino interiore, mai cresciuto racchiuso nel corpo dell’adulto Tommaso, di emergere.
Colpisce ed attrae il tono tenuto per tutta la durata del film, virante sul paradosso costante: il Tommaso di Kim Rossi Stuart sostiene che tutto sia normale, chiedendo alla prima fidanzata, Chiara (Jasmine Trinca), di essere onesta con lui, sfociando in un pianto che appare liberatorio. In realtà lui stesso ha rivelato esplicitamente di non amarla e di non riuscire a portare avanti la relazione, sostenendo le stesse considerazioni della fidanzata, ma non avendo la forza e la determinazione per accettarle consapevolmente. Tommaso, quindi, dimostra di non avere consapevolezza dei propri pensieri e delle proprie azioni, procedendo con la sua esistenza facendo sempre gli stessi errori, concludendo le sue relazione sempre allo stesso modo, infatti anche la relazione con Federica (Cristiana Capotondi) e con Sonia (Camilla Diana) sfoceranno in un destino piuttosto simile, piangendosi addosso come un bambino che ha perso la strada di casa e ha paura di ciò in cui può imbattersi. Esattamente come un bambino, Tommaso è ingenuo, a tratti buffo ed impacciato, capace di strappare più di una risata provando a barcamenarsi in un gioco in cui non è capace ad andare avanti, con l’unica amara constatazione che il gioco è rappresentato dalla sua stessa vita.
Tommaso è un film che guarda in modo piuttosto esplicito alla psicanalisi freudiana. Riflettendo sul rapporto conflittuale che ha instaurato con la madre, così come concentrandosi sulla potenza dell’istinto sessuale che domina le pulsioni più primitive dell’uomo, Tommaso riflette sulla sua condizione di uomo in balia dei condizionamenti esterni di cui il suo inconscio è vittima da ormai troppo tempo, finendo con l’evidenziare come tutto conduca a quel «bambino che aspetta un risarcimento che non arriverà mai».
Kim Rossi Stuart, dunque, conduce sul grande schermo un’opera seconda che pone al centro il bambino interiore che è nascosto dentro ogni essere umano, non a caso decide di intitolare il lungometraggio proprio Tommaso, senza alcun orpello, solo ponendo l’essere al centro di tutto. Con un tono ironico che non perde mai di intensità durante tutto lo svolgimento del film, cedendo il passo a scene visionarie in cui è l’inconscio a prevalere e a manifestare le paure più intime del personaggio sotto forma di metafora, Kim Rossi Stuart si dimostra in grado di esporre una chiara e ben scritta sceneggiatura che riflette sull’esistenza e sull’incapacità dell’essere umano di fare pace con il proprio bambino interiore, rimanendo vittima dei condizionamenti imposti dalla nascita.
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