Recensione del film La stoffa dei sogni
Cinema / Recensione - 02 December 2016 07:30
"La stoffa dei sogni" è il film di Gianfranco Cabiddu: mescola William Shakespeare e Eduardo de Filippo
La stoffa dei sogni è il film di Gianfranco Cabiddu con Sergio Rubini, Ennio Fantastichini, Alba Gaïa Bellugi.
Il film pecca di una eccessiva stravaganza, che rende le vicende spesso irreali. Come il fatto che in una nave viaggino contemporaneamente attori e persone scortate al carcere dell’isola dell’Asinara, oppure che si parli ancora di capocomico e attori itineranti. A ciò gli autori hanno rimediato spostando la vicenda nel dopoguerra, ma le trovate restano comunque poco attuali. E infatti i dialoghi continui, che si muovono in lunghe unità di luogo manifestano questa necessità di tessere il rapporto tra i personaggi tramite le parole piuttosto che le azioni.
A parte questa inconciliabilità, la storia procede con grande vivacità, quasi a raccontare che non si conosca bene chi sia a recitare e chi sia a dire la verità. Come nella vita. È un film raro quello di Cabiddu, mosso dalle onde dell’isola in cui è ambientato, senza timore della poca modernità.
Quando la compagnia di teatranti con a capo Oreste Campese (Rubini) naufraga, copre i camorristi che vogliono evitare la reclusione confondendosi fra gli attori. Il Direttore del carcere (Fantastichini) decide di organizzare una recita de “La tempesta” di William Shakespeare (citata anche nel recente film "Genius"), così da scoprire chi nella compagnia è vero attore e chi un criminale.
La storia d’amore tra Miranda, la figlia del direttore del carcere e uno dei delinquenti richiama altre relazioni impossibili, proveniente da una tradizione narrativa classica. Non sono quindi gli odierni problemi di relazioni presenti in film come “Io prima di te”, oppure “Colpa delle stelle”, dove erano le condizioni di salute ad impedire l’amore, bensì la differenza di classe sociale. Una scelta che appunto riporta a vecchie trame, come l’opera “La Tosca” (1887) di Giacomo Puccini per l’amore incompiuto tra la Tosca e il ribelle Mario Cavaradossi, il film “Fino all’ultimo respiro” (1960) di Jean Luc Godard per la relazione impossibile tra il truffatore Michel Poiccard e la giovane Patricia. Amori inconciliabili che spesso sono usati nelle fiction televisive ma nel film di Cabiddu mutuate nelle commedia e quindi rese più appetibili. Quando il padre dice che vuole trasferirsi, lei risponde: “Io resto qui, accanto a lui. Sono 10 anni di prigione”.
“L’arte della commedia” di Eduardo de Filippo è l’altra opera a cui si ispira il film: come nell’opera del 1964, non si discerne di reciti o dica la verità. Così alla fine de “La stoffa dei sogni” emerge la necessità di realizzate una rappresentazione teatrale dentro il carcere, con l’obbiettivo del direttore di svelare quali siano i criminali. Anche qui la sospensione della credulità è al limite: è difficile scoprire in una recita chi siano veri attori dagli improvvisati. Ma anche questo meccanismo regge nella logica del film, fatto per sorprendere come si faceva una volta, piuttosto che essere attuale.
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