Recensione del film di Gabriele Muccino 'A casa tutti bene'
Cinema / Recensione - 14 February 2018 08:38
“A casa tutti bene” è il film corale di Gabriele Muccino
La trama intrecciata del film "A casa tutti bene"
A casa tutti bene è il film di Gabriele Muccino nelle sale.
Come nella storia del cinema del regista romano, la capacità di sfiorare le proprie sofferenze è una condizione imprescindibile dei suoi personaggi. Qui troviamo Alba (Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti) che per le nozze d’oro decidono di convogliare i membri della loro famiglia sull’isola in cui risiedono. Hanno un ristorante, gestito ora dai figli Sara (Sabrina Impacciatore) e Carlo (Pierfrancesco Favino), i quali hanno una presunta vita normale. Lei infatti crede che il marito Diego (Giampaolo Morelli) non la tradisca più; lui che la nuova moglie Ginevra (Carolina Crescentini) possa abituarsi alla presenza dell’ex moglie elettra (Valeria Solarino), inviata alla festa per la serenità della figlia adolescente.
Il passato, una componente fondamentale nei film d Muccino - da “L'ultimo bacio” (2001) a “Padri e figlie” (2015) - emerge come la causa principale dei problemi attuali, senza che i personaggi possano vivere sperando nel futuro, ma solo ancorati a delle scelte precedenti che non gli lasciano tregua.
Il ruolo di Stefano Accorsi
L’unico anarchico che in “A casa tutti bene” rappresenta la fuga verso l’ignoto è Paolo (Stefano Accorsi), scrittore perennemente in viaggio, che su quest’isola scopre proprio l’amore verso una donna Isabella (Elena Pucci) conosciuta fin dall’adolescenza. Di nuovo torna l’esperienza precedente che modifica il presente, come se solo con un’ambiente familiare sia possibile tessere dei rapporti.
Gli stessi connubi tra padre e figlio che il regista aveva raccontato nel potente “La ricerca della felicità” (2006), dove un padre senza possibilità di riscatto annaspa per assicurare una dignità al figlio, dormendo con lui in luoghi di ricovero per senzatetto e bagni della stazione, facendogli credere che la realtà si possa immaginare diversa.
La critica al perbenismo del film di Gabriele Muccino
In “A casa tutti bene” resta anche un fondo amaro, rappresentato dal personaggio di Riccardo (Gianmarco Tognazzi), che dopo anni di debiti cerca di emanciparsi chiedendo un lavoro che nessuno gli vuol concedere. Un’amarezza che è anche emblematica di un momento attuale, perché se lui “faceva scappare i clienti” quando lavorava nel ristorante di Pietro, ora non gli è concesso di redimersi. Ed è proprio la compagna interpretata da Giulia Michelini a far luce sulle ipocrisie di quella famiglia che dietro il perbenismo paludato presentano inganni e risentimenti.
La scena in cui il personaggio interpretato da Favino, in preda ad un raptus cerca di gettare la moglie da un anfratto è quella in cui erompe meglio questo astio covato. Il tentativo di Muccino di realizzare un film corale è arduo, perché presuppone che ogni storia abbia il tempo necessario per essere raccontata in maniera teatrale. È questo il difetto maggiore del film, che per la sua impostazione avrebbe potuto sfoltire qualche storia e fare in modo che le altre si elevassero. Invece usando trame incastrate il film è indirizzato tutto verso un climax finale che appare anche giustificato.
Un film comunque da vedere, per la capacità di tessere con la macchina da presa un affresco sull’impudenza, pur se imperfetto. E per l’interpretazione toccante di Massimo Ghini (nel ruolo di Sandro) e di Claudia Gerini (in quello di Beatrice), con lui malato di Alzheimer e lei in tenera ricerca di un ricordo comune, la cui sola storia esigerebbe un’intera sceneggiatura.
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