Intervista a Enrico Zanisi, pianista con il nuovo album Keywords
Enrico Zanisi risponde alle domande di Mauxa per la rubrica "Di che cultura sei?"
Mauxa intervista Enrico Zanisi, giovane pianista che ha pubblicato il nuovo album “Keywords”.
\r\nD. Nel nuovo album "Keywords" alterni ritmi dinamici a momenti più riflessivi, come in "Träumerei": come mai questa alternanza?
R. La musica è un linguaggio. Come nella lingua parlata abbiamo bisogno di momenti di impeto alternati a riflessioni, così è nella musica: si avverte la necessità di comporre e suonare seguendo il proprio stato d’animo.
In più, ho sempre ritenuto la tracklist una cosa fondamentale: la giusta contrapposizione tra brani up, moderati e lenti, ma anche tra tonalità maggiori e minori, tra tempi differenti, crea una piacevole tensione e un’attenzione maggiore nell’ascoltatore.
D. Come ti sei avvicinato allo studio del pianoforte?
R. I miei genitori sono entrambi musicisti. Il pianoforte lo avevo in casa e a sei anni decisi di mettervi le mani sopra spontaneamente, per gioco. Dopo un po’ i miei decisero di mandarmi a lezione di pianoforte, ed eccomi qua.
D. Come mai hai scelto il jazz come stile?
R. Forse è il Jazz che ha scelto me. Fin dall’inizio il mio approccio al pianoforte era di tipo “improvvisativo”: suonavo quello che mi veniva in mente, componevo piccole melodie, riproducevo modificandole a mio piacimento canzoni che sentivo alla radio o in televisione. Dopo aver iniziato il percorso classico, furono sempre i miei genitori a spingermi verso una scuola di Jazz, immaginando che quella fosse la strada più vicina al mio modo di suonare il pianoforte. E infatti.
D. Qual è il tuo musicista e album che più ti ha influenzato e perché?
R. E’ sempre difficile citare un solo musicista, poiché gli ascolti che ho fatto sono stati molteplici e approfonditi. Il musicista che, fin da quando ho cominciato a suonare jazz mi ha più colpito, è Brad Mehldau. Venendo dalla classica apprezzo in lui il tocco, le dinamiche,la fluidità, l’espressività, l’indipendenza delle mani e l’estremo senso della forma. L’album che mi ha influenzato di più non esiste, non saprei citarlo. Posso invece riferivi alcuni degli album che ho consumato di più, che hanno fatto da colonna sonora e sono stati motivo di studio e divertimento: “Metropolis part.2” (Dream Theater), “Trilogy e Tarkus” (ELP), “Ok Compute”r (Radiohead), “All that you can’t leave behind” (U2), “Selling England by the pound” (Genesis), “The sound of the trio” (Oscar Peterson), i sei “Live at blue note” (Keith Jarrett), tutti i “The Art of the Trio” (Brad Mehldau).
D. Qual è il tuo libro preferito e perché?
R. Non ho libri preferiti, non riesco a fare classifiche. Posso però dire che un libro che mi ha molto colpito e di cui mi è rimasto un ricordo profondo è “Siddharta” di Herman Hesse.
D. Qual è il tuo prossimo progetto?
R. Spero sempre di riuscire ad imparare l’arte dell’orchestrazione, ben consapevole che richiede molto studio e pazienza. Per il futuro vedo un quartetto d’archi, o un’orchestra - chissà - ma per il momento dedico tutte le mie energie al Trio con Joe Rehmer al contrabbasso e Alessandro Paternesi alla batteria. Saremo in tour nei prossimi mesi, a partire dal 30 gennaio alla Casa del Jazz di Roma, e abbiamo bisogno di molta energia e concentrazione.
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