I primi vaccini della storia e come funzionarono
Daily / Editoriali - 07 June 2021 17:00
Dal vaccino contro il vaiolo a quella contro la Covid-19
Il vaccino di Edward Jenner
Edward Jenner fu il primo a ipotizzare come potesse funzionare un vaccino. Valutando il vaccino come fosse una memoria che nel tempo potesse difendere i pazienti dalle successive infezioni. Jenner, nato a Berkeley, Inghilterra, a metà del Settecento viene ricordato per il grande contributo dato all’umanità e alla immunologia nella lotta contro il vaiolo. Medico di campagna, fu il primo a rendersi conto che le genti del contado infettate dal vaiolo bovino divenivano immuni al vaiolo umano, quest’ultimo ben più pericoloso del primo che era invece una infezione più innocua. Così quando una lattaia lo consultò per una eruzione cutanea, Jenner prelevò del materiale purulento e lo inoculò ad un bambino. Con ciò Jenner riuscì a provare la sua teoria infettando il bambino con il vaiolo bovino e rendendolo immune da quello umano.
Pasteur, il padre della moderna microbiologia
Altro personaggio che ha offerto un grande contributo all’umanità
e alla storia dell’immunologia è stato il chimico e biologo
Louis Pasteur. Studioso delle fermentazioni, che amava
definire “vita in assenza di ossigeno”, si soffermò sull’esame
della attività dei microrganismi e dei batteri. Le
ricerche di Pasteur sulla fermentazione non incontrarono il
consenso del mondo scientifico all'epoca. Pasteur scopre il legame
tra fermentazione e l'attività di microrganismi, causa della
malattia di vino, per esempio, mentre la maggior parte del mondo
accademico credeva che la fermentazione fosse provocata da una serie
di reazioni di natura chimica, da materia non vivente, in base alla
teoria della generazione spontanea di matrice aristotelica. Pasteur,
invece, insieme a pochi altri scienziati, guardava ai germi come
responsabili delle patologie, diversamente dalle teorie comuni
secondo cui le malattie mortali fossero conseguenza di un quadro di
indebolimento dell'individuo.
Per combattere la malattia del vino,
quindi, Pasteur si focalizza sul metodo per distruggere i
microrganismi indesiderati: così nel 1862 nasce la pastorizzazione,
il trattamento termico a temperatura inferiore a quella di
ebollizione per distruggere i germi patogeni in determinanti alimenti
liquidi.
Nei suoi studi Pasteur si occuperà delle malattie del
baco da seta, della rabbia, dell'antrace e del
colera dei polli.
La storia del primo vaccino, contro il colera dei polli
Mentre stava conducendo le ricerche sull'antrace, Pasteur volse
l'attenzione sul colera dei polli che stava sterminando le galline
negli allevamenti.
Influenzato dalla scoperta di Edward Jenner sul
vaiolo, Pasteur riesce a isolare il batterio, iniziandone la coltura,
nel 1878. L'anno successivo, accadde ciò che ha rivoluzionato il
campo della virologia. Pasteur incarica il suo assistente di
iniettare ai polli in laboratorio una coltura fresca del batterio.
Tuttavia l'assistente se ne dimentica e, di ritorno dalle vacanze,
inocula agli animali la medesima coltura lasciata senza nutrimento ed
esposta all'ossigeno. Questi polli sopravvissero ai batteri
indeboliti, definiti 'attenuati'. Pasteur infettò gli stessi polli
con batteri freschi, dimostrando l'evidente immunizzazione.
L'esperimento in laboratorio ebbe grande impatto: il batterio
indebolito aveva istruito al sistema immunitario dei polli come
combattere l'infezione.
Il vaccino contro l’antrace
Lo studio dei microrganismi e sui batteri permise a Pasteur di affrontare l’iniezione determinata dal batterio Bacillus anthracis, responsabile della diffusione dell’antrace. Nel 1881 lo studioso effettuò un esperimento con due gruppi di pecore, l’uno vaccinato e l’altro no. Successivamente entrambi i gruppi vennero infettati: mentre le pecore vaccinate sopravvissero, quelle non vaccinate perirono. Nella realizzazione del vaccino contro l’antrace si dice che Pasteur possa aver utilizzato il metodo messo a punto da un noto veterinario Jean-Joseph-Henri Toussaint, il quale aveva scoperto che, miscelando acido fenico e siero di antrace, si poteva generare l’immunizzazione degli animali.
Il vaccino contro l'erisipela suina e la rabbia
Nel
1882 con il suo assistente Louis Thuillier, Louis Pasteur si recò
nel sud della Francia dove c’era un’infezione di erisipela suina
(infezione della pelle che aveva un tasso di mortalità che negli
anziani e nei bambini sfiorava il 100%.). Dopo aver identificato il
batterio che causava la malattia, i due biologi lo inocularono ai piccioni. Poi lo
trasmigrarono nei conigli e – dopo alcuni passaggi - lo
indebolirono: utilizzarono tale vaccino per l'immunizzazione dei
suini. Si trattò del primo vaccino (come riportato nel volume
History of Vaccine Development a cura di Stanley A. Plotkin)
sviluppato su una serie di passaggi successivi in animali differenti
da quello dell’ospite originario.
Il successo arrivò con il vaccino contro la rabbia: Pasteur
coltivò il virus nei conigli e poi diminuì la virulenza del ceppo,
essiccando il midollo spinale degli animali infetti. Il 6 luglio 1885 il vaccinò fu inoculato a un bambino di 9 anni, Joseph Meister, morso
da un cane rabbioso. In 11 giorni il piccolo Meister ricevette 13
inoculazioni, ognuna delle quali conteneva virus che erano stati
indeboliti per un periodo di tempo più breve. Tre mesi dopo il bambino guarì. Dopo poche settimane fu la volta del piccolo pastore
Jean-Baptiste Jupille: anche in questo caso il trattamento ebbe
successo. Nello stesso anno molte persone vittime di morsi -
inclusi quattro bambini degli Stati Uniti - si recarono al
laboratorio di Pasteur. Nel 1886 furono curate
350 pazienti, di cui solo uno sviluppò la rabbia. Il successo del
trattamento ha posto le basi per la produzione di molti altri
vaccini. Pasteur inaugurò così l’era della medicina preventiva.
Sulla scia di questo successo, l'Academie des Sciences lanciò una
campagna internazionale di raccolta fondi per costruire l'Institut
Pasteur.
Il futuro dei vaccini
Il futuro dei vaccini è quello di creare internamente alle cellule umane la risposta immunitaria. Il vaccino a RNA (acido ribonucleico) – usato anche in maniera emergenziale contro la Covid-19 – è introdotto deliberatamente in una cellula vivente. Una volta all'interno delle cellule immunitarie, il vaccino RNA - introdotto tramite la molecola mRNA che sta per 'RNA messaggero' - induce le cellule a costruire la proteina estranea che normalmente sarebbe prodotta da un patogeno (come un virus) o da una cellula cancerosa. La disinformazione ha portato a credere che questo vaccini alterino il DNA: ma l’evento è biologicamente impossibile, come confermato dal professor Jeffrey Almond dell'Università di Oxford alla BBC: "L'iniezione di RNA in una persona non modifica il DNA di una cellula umana".
Uno dei vaccini sperimentali è quello del DNA: si inserisce il DNA virale o batterico in cellule umane o animali, e si innesca così il riconoscimento del sistema immunitario. Le cellule di quest’ultimo individuano le proteine e le attaccheranno. Il vantaggio è che tali cellule vivono molto a lungo, e se l'agente patogeno è incontrato in un secondo momento, verrà attaccato istantaneamente.
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