Venezia 73, recensione di Piuma: un film dall'esile trama
Al Festival del cinema di Venezia è in concorso il film "Piuma"
Piuma è il film diretto da Roan Johnson e presentato in concorso al Festival di Venezia. È interpretato da Michela Cescon, Luigi Fedele, Blu Yoshimi.
Già l'inizio in dialetto romanesco getta un senso di ripetitività del film, come se la realtà non potesse che essere rappresentata con inflessioni lessicali: "alle sette devi sta' fori dalla macchina".
Cate è una diciottenne che scopre di essere incinta del compagno Ferro. I due devono affrontare le difficolta che ciò comporta, tra la famiglia di lui immersa nei problemi quotidiani e quella di lei irresponsabile. L'unico cambiamento è che a causa di alcune complicazioni ginecologiche Cate e Ferro non possono partire con gli amici in Marocco.
Il realismo pasolinjano - cui Roan fa riferimento - era collocato in un mondo romano con le stese scelte lessicali, ma era motivato da un racconto di un mondo senza scampo, deserto di speranze. Invece qui tutta questa problematica relegata ad un figlio nascituro stona come eccessiva. "Accattone morto di fame" dice la madre di Cate al marito che non riesce a portare a casa soldi giocando sempre al calcio-scommesse.
La sceneggiatura è troppo esile per innovare una trama come quella della gravidanza inattesa, Le scene sono quelle della classica ecografia in cui si scopre il sesso del nascituro, la scelta del nome, la cena con i genitori di lei, il regista che fa un cammeo. Poi la futura nascita conduce a complicazioni, i genitori di Ferro sono sul punto di divorziare, lui sembra avere un altro figlio dalla fisioterapista, i due sembrano sul punto di voler dare in adozione la figlia. Sembra. Perché poi tutto ritorna normale.
Una vicenda che poteva essere meglio raccontata con un buon documentario sulla vita di genitore diciottenni.
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