Recensione del film Il GGG - Il grande gigante gentile
Steven Spielberg dirige "Il GGG - Il grande gigante gentile" tratto dal romanzo di Roald Dahl.

Il GGG - Il grande gigante gentile è il film di Steven Spielberg, con Mark Rylance, Ruby Barnhill e Penelope Wilton. La sceneggiatura è di Melissa Mathison (leggi l’intervista all’attore del film Jonathan Holmes).
Sophie è una bambina coraggiosa che di notte apre la finestra e urla contro i ragazzi che sono a gozzovigliare sulla strada. Non tutti i bambini agirebbero così: ma i bambini ritratti da Spielberg, da Elliot di “E.T. l’extra-terrestre" (1982) a Albert Narracott di “War Horse” (2011) hanno una tendenza ad essere scocciatori.
Il film “The BFG” è tratto dall’omonimo romanzo illustrato di Roald Dahl del 1982. Deve molto agli effetti speciali, come quando il gigante BFG scorrazza per le strade e cammina sopra il mare. Senza di essi il film perde un po’ del suo fascino e acquista più credibilità. Sophie non si dispera per essere stata rapita, se prima abitava in un orfanotrofio dove la direttrice punisce rinchiudendo i piccoli ospiti in una stanza piena di topi. Ora - con l’aiuto di BFG - deve impedire che i giganti cattivi eseguano un’altra strage di bambini, di cui si nutrono.
La capacità di gestire un mondo fantastico, con esseri giganti che dormono su una barca, sovrastata da una bambina che si sveglia e che poi fugge, può spettare solo a Spielberg. Rendere visivamente plausibile una scena di azione in cui un gigante alto più di sette metri afferra una bambina, effettuare con la macchina da presa una panoramica circolare per filmare l’arrivo di un altro gigante, far entrare tutto in un’inquadratura mentre la bambina si nasconde dietro una ciotola, è arduo. Ma Spielberg ci riesce.
Quello che fa il regista di Cincinnati è arricchire uno spettacolo stupefacente, che non può competere con le serie tv viste in streaming un episodio dopo l’altro, perché richiede una maestria che a quel tipo di narrazione non è necessario. Solo al cinema ci si può beare di questi effetti, e non nello schermo di uno smartphone. Per i primi 40 minuti siamo nella caverna di BFG, con marchingegni che si muovono, colori che esplodono in ampolle, gesti normali ma eseguiti da un gigante, con la maestria di chi sa destreggiarlo.
Per girare contemporaneamente elementi live-action e performance-capture il team ha pre-visualizzato il film prima di iniziare le riprese: le scene sono state ricreate in coreografia, memorizzate e filmate in digitale. Gli attori con le tute sono stati filmati sullo stesso set dei personaggi reali, con un set per i giganti di 15 metri, un altro per il BFG e l’ultimo fuori misura per far sembrare Sophie ancora più piccola. Lo scenografo Rick Carter ha allestito un set totale di 1000 metri quadrati, il direttore della fotografia Janusz Kaminski (“Il Ponte delle Spie”, “Salvate il Soldato Ryan”) ha integrato le luci delle varie riprese, dipingendo con i colori. Da qui il budget del film di 140 milioni di dollari.
In una scena BFG porta poi Sophie in un prato, dove un Fizzwizard dorato lo segue. Il Fizzwizard è un tipo di sogno particolare, e qui insieme a Spielberg ricreiamo il sogno di un mondo ulteriore possibile.
“I sogni sono così veloci?”; chiede Sophie; “fuori, ma dentro sono lenti” risponde BFG, che come lavoro amalgama sogni positivi da portare ai bambini. Questo alone di mistero è poi abbassato dall’ultima parte del film, in cui i due protagonisti vanno dalla regina d’Inghilterra per chiedere aiuto e sconfigge i giganti carnivori di bambini. Ma la scena in cui il BFG incontra la regina che si affaccia dalla camera da letto è una delle più straordinarie del cinema, fatta di turbamento di ciò che il cinema può restituire: e avviene proprio tra un povero gigante e la persona più importante per la monarchia. “Sono venuto con la piccola Sophie per darle assistenza”; “grazie, son sicura che l’avrò, ma non in pigiama”, risponde la regina.
Quando BFG mangia nel castello, i camerieri portano le vivande usando delle scale: la composizione e dell’immagine non ha nulla da invidiare alle raffigurazioni del pittore Pieter Bruegel. Cui segue anche l’ironia delle flatulenze bevendo il liquore di BFG.
Alla fine di questo 2016 in cui c’è stato l’avvento del video con demand, un film come “The BFG” è uno tra i pochi per cui valga la pena di spendere una banconota.
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