Land of Mine: recensione del film dramma di giovani corpi umani al macello
Cinema / Recensione - 23 March 2016 08:00
Martin Zandvliet dirige Land of Mine, un film che scopre l'uomo dietro il soldato: il lungometraggio mostra come sia labile il confine tra carnefici e prede, non vi è più distinzione tra
Il film scritto e diretto da Martin Zandvliet fonda la sua storia su un fatto storico che vede contrapporsi Danimarca e Germania: liberata dall’oppressione tedesca, la Danimarca decide di seguire le orme dei suoi nemici operando anch’essa la violazione dei diritti umani ed obbliga prigionieri di guerra ad una sorta di roulette russa con la morte.
Land of Mine narra di una delle drammatiche piaghe conseguenti la fine della II Guerra Mondiale tra le meno note al mondo intero. La trama del film scritto e diretto ad arte dal regista Martin Zandvliet si concentra sulla sorte di un gruppo di giovanissimi tedeschi prigionieri, in campo danese, ai quali viene imposto di “ripulire” la costa occidentale dalle mine che la Germania ha disseminato lungo tutto il perimetro, credendo così di intercettare l’offensiva inglese. Il lavoro dei ragazzi è monitorato dal sergente Rasmussen che impone disciplina e pretende di trattarli come nemici di guerra ma, a stretto contatto con loro, si renderà conto di quanto sia inaccettabile mandarli a morire nel tentativo di disinnescare mine, divenendo loro alleato nella lotta verso la sopravvivenza.
Martin Zandvliet ritrae un dopo guerra mondiale atipico, avente come obiettivo primario quello di descrivere l’orrore della presunta giustizia umana che si perpetua oltre il campo di battaglia. Nonostante sia di origine danese, il regista espone i peccati della sua madrepatria, proiettando sul grande schermo una delle pagine più buie della Danimarca, l’aspra decisione di violare la Convenzione di Ginevra del 1929 e costringere i prigionieri di guerra tedeschi a disinnescare mine mortali. Land of Mine, quindi, vuole mostrare fatti storici incentrati non sulle persecuzioni perpetrate dai tedeschi, ma su quelle da loro subite, nel tentativo supremo di affermare come sia vano “occhio per occhio dente per dente” quando a farne le spese è sempre e solamente l’Uomo. I personaggi proposti sono ben delineati e danno vita ad un gruppo credibile e stabile, rappresentanza di un frammento di coloro che vissero la condizione di prigionieri di guerra tedeschi su suolo danese. L’evoluzione di un altro personaggio cardine, il sergente, è graduale, ma allo stesso tempo netta nei suoi passaggi da uomo impregnato di ideali politici a padre di poveri ragazzi schiavi della guerra e delle sue conseguenze.
Land of Mine gioca su un ritmo scandito da drammatici colpi di scena: la tensione emotiva è somma in momenti in cui il confine tra la vita e la morte è labile ed incerto, sembra cedere il posto ad una situazione più distensiva, ma è proprio quando la tensione svanisce che l’esplosione avviene, sfruttando sapientemente il concetto di sorpresa di hitchcockiana memoria. E allora uno ad uno i giovani ragazzi tentano per la prima volta di disinnescare una mina prima di essere collocati ai settori di appartenenza e procedere con il lavoro. Si assiste all’operazione di disinnesco più e più volte, un giovane sembra titubare, ma alla fine termina vittorioso il suo primo tentativo, esce si riposiziona in fila insieme agli altri, un altro si accinge, il ragazzo precedente gioisce con i compagni… quando si sente un boato, il ragazzo dopo di lui non ce l’ha fatta!
Alternando in modo costruttivo scene contemplative a scene più dinamiche Land of Mine tesse una storia completa in cui si infonde la speranza che l’essere umano comprenda che la guerra fratricida è priva di senso, lasciando aperto un valico tra vita e morte, tra condanna e perdono.
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