Good Kill: recensione del film dramma informativo sulla guerra dei droni

Cinema / Recensione - 25 February 2016 08:00

Andrew Niccol propone un lungometraggio che tenta di sviscerare i dubbi morali di un pilota di droni, ma termina immergendosi in un limbo di non-azione che governa l'interno film, lasciando lo spettat

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Ethan Hawke è diretto da Andrew Niccol nel film Good Kill, presentato alla 71° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, in cui piloti di droni combattono una guerra a distanza, interrogandosi poi sulle drammatiche conseguenze che essi stessi hanno contribuito a generare.

Good Kill racconta il dramma vissuto in silenzio dal maggiore Thomas Egan, interpretato da Ethan Hawke, chiamato a combattere la guerra in Afghanistan a distanza, attraverso le nuove tecnologie che prevedono l’utilizzo dei tanto sofisticati quanto letali droni. Thomas si ritrova protagonista di una missione che stenta a riconoscere come legittima, riversando tutte le sue angosce e i suoi rimorsi sulla sua famiglia, con la quale si ricongiunge ogni giorno, anche se sembra non riuscire a distaccarsi dal suo lavoro. Quando i dubbi saranno più forti delle convinzioni che il tenente colonnello Jack Johns (Bruce Greenwood) cercherà di instillargli, Thomas sarà costretto a giudicare se stesso e a trarre le sue conclusioni.

Andrew Niccol scrive e dirige una storia che desidera ardentemente proporre uno spaccato di vita reale, vissuta ogni giorno da chi è stato sorteggiato dal destino per pilotare i droni. In tal senso Good Kill mostra dei punti di evidente contatto con un altro film il cui perno è rappresentato da un uomo a confronto con la guerra, American Sniper di Clint Eastwood. Entrambi i lungometraggi sono incentrati intorno ad una personalità che osserva da lontano il campo di battaglia, operando a distanza, nel primo un pilota di droni, nel secondo un cecchino, ma l’abissale differenza tra i due lavori risiede non solo nella straordinaria prova recitativa e trasformazione fisica operata da Bradley Cooper, ma anche e soprattutto nell’affascinante quadro filmico esposto da Clint Eastwood. Quest’ultimo è in grado di far immedesimare totalmente lo spettatore in un personaggio che patisce le aberranti conseguenze della guerra, criticandola aspramente attraverso i soldati che combattono per essa. Al contrario, Good Kill non riesce ad emozionare, ma solamente ad informare dell’esistenza dei droni e di persone preposte a comandarli.

Il dramma esposto in Good Kill, prima di svolgersi sul campo di battaglia, avviene nella psiche del protagonista, un Ethan Hawke che si cimenta in un ruolo quanto mai complesso, volto ad indagare i conflitti interiori che si generano in un uomo di coscienza chiamato ad uccidere. E allora si necessita di un punto di svolta, che si verifica nella scena in cui, oltre ad un gruppo di talebani, vengono sterminati anche degli innocenti proprio per mano del maggiore Thomas Egan. Il regista decide di esporre i fatti, attraverso totali dall’alto tesi ad inglobare la scena in cui avverrà il massacro perpetrato dai droni, prediligendo il punto di vista della macchina di distruzione di massa. Ma quando si passa ai primi piani del personaggio a cui Ethan Hawke dona corpo ed intensità, interrogandosi sulle conseguenze delle proprie azioni, egli non riesce a dirigersi oltre la mera riflessione concettuale circa l’utilizzo dei droni.

Il ritmo adottato, dunque, pretende di generare riflessioni critiche su quanto si stia narrando, direzionando l’attenzione dello spettatore verso il protagonista della vicenda, ma non sfonda la quarta parete, lasciando perplessi per un film che sembra rimanere in un limbo di non-azione perenne.

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