Festival di Venezia 2017, 'Les Garçons Sauvages': recensione del film

Cinema / Festival / News - 07 September 2017 21:00

Il primo lungometraggio di Bertrand Mandico è tra i film selezionati per la 32ma Settimana Internazionale della Critica

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Film Johnny English colpisce ancora

'Les Garçons Sauvages' è il primo lungometraggio di Bertrand Mandico, regista francese con alle spalle una lunga ed onorata carriera nel cinema sperimentale. Ha all’attivo 40 cortometraggi, tra cui “Prehistoric Cabaret” (2014), “Salammbô” (2014), and “Our Lady of Hormones” (2015), molto apprezzati nel circuito dei festival.

Per questo suo debutto, Mandico decide di dare libero sfogo alla sua creatività, confezionando una conturbante fiaba allegorica sui limiti dei ruoli di genere imposti dalla società, il tutto ambientato in luoghi al di là dei confini conosciuti, sia in senso letterale che figurato.

Agli inizi del XX secolo, sull’Isola de La Réunion, si consuma un crimine efferato. I colpevoli sono cinque insospettabili rampolli dell’alta borghesia, appassionati di letteratura ed esoterismo. Hanno una divinità personale (un teschio tempestato di diamanti che invocano col nome di “Trevor”), e ricordano molto i “drughi” capitanati da Alex DeLarge in “Arancia Meccanica”.

Disperati, i loro genitori decidono di affidarli ad un misterioso capitano olandese, che promette di avere un metodo infallibile per addolcire il loro temperamento, e li porta con sè in una “crociera rieducativa” a bordo di un vascello fatiscente e spettrale (ogni riferimento all’Olandese Volante appare più che mai voluto).

Il capitano rivela ben presto i suoi metodi brutali, a base di guinzagli e lavoro durissimo. Un giorno, porta i pupilli su un’isola che rivela una flora fatta di irresistibili tentazioni. Da lì all’ammutinamento il passo è breve, ma i “ragazzi selvaggi” scopriranno ben presto che c’è un prezzo inaspettato da pagare per godere dei piaceri dell’isola.

Quello in cui si svolge la storia di “Les Garçons Sauvages” è un universo straniante, surreale, ricco di astrazioni, di erotismo, e di simboli che operano sul piano dell’intuizione piuttosto che su quello del pensiero razionale. Tra le scelte più affascinanti di Mandico, c’è quella di far interpretare a delle attrici il ruolo dei protagonisti. “Volevo offrire alle attrici dei ruoli che non hanno mai occasione di interpretare - ovvero il ruolo di ragazzi violenti, affascinanti, attraenti, esasperanti, ambigui. Detesto le limitazioni, ma mi piacciono i contrabbandieri, gli uomini e le donne che rompono con gioia le barriere senza preoccuparsi se appartengono o meno a quel determinato gruppo”, ha motivato il regista.

Il film trabocca di suoni, di trovate immaginifiche, di suggestioni, l’isola in particolare sorprende per la cura artigianale, di cinema d’altri tempi, dei dettagli. Affronta i temi del sesso e dell’adolescenza con ardore, in barba a qualunque pudore borghese. La narrazione ignora i binari della linearità, ed è arricchita da due voci fuori campo che spiegano gli avvenimenti con tono sognante e velleità poetiche. Un fascino atavico permea la pellicola, in cui la fotografia in bianco e nero si alterna a splendide sequenze a colori degne di un videoclip synth-pop.

I personaggi sono semplici e al tempo stesso complessi nelle loro pulsioni; la rappresentazione della loro crudeltà non sembra nascere da un’analisi cinica, fatta a debita distanza di sicurezza, quanto piuttosto da un’accettazione senza giudizi della natura umana in tutte le sue sfumature (“Non mi piace l’idea di un cinema moralista che si mette a dar lezioni”, dice Mandico). Il loro destino non va interpretato come una punizione: il regista ha ammesso di essersi ispirato al Paese dei Balocchi di Pinocchio e all’isola di Circe nell’Odissea, ma la metamorfosi che attraversano i ragazzi è un’occasione di crescita, di scoperta di nuove prospettive.

I riferimenti letterari e cinematografici sono molteplici: “Les Garçons Sauvages” è un’avventura che mescola Robinson Crusoe (ad un certo punto un personaggio chiama un altro Venerdì), Jules Vernes, William Burroughs, “Il signore delle mosche”, i film di Jean Vigo, quelli di Fassbinder, e decine di altre opere ancora.

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