Intervista al regista Paolo Pisanelli: la chiarezza del documentario

Cinema / Intervista - 31 May 2011 06:31

Mauxa intervista il regista di Ja Terremotu, il film-documentario sul post-terremoto de l\'Aquila

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Il mistero di Donald C.

Intervista a Paolo Pisanelli: la chiarezza del documentario. Abbiamo intervistato Paolo Pisanelli, regista di Ju tarramutu, film-documentario che racconta la vita della ricostruzione de l’Aquila dopo il sisma del 2009.

Nel film Ju tarramutu racconta della difficile ricostruzione de l\'Aquila dopo il sisma. Come mai un tema così attuale?
Un terremoto è un evento “assurdo”, che ti fa interrogare sulla natura del reale e del mondo in cui viviamo e ti mette a confronto con l’insensatezza. Appena ho saputo del terremoto a L’Aquila avrei voluto dare una mano… ma cosa si può veramente fare? 
Sono un filmaker, quindi ho pensato di fare quello che so fare… filmare! Radio e tv bombardavano di notizie e raccomandavano di non avvicinarsi alle zone del sisma, ma alla fine io sono partito.
All’inizio non pensavo di fare un film, è un’idea maturata nel tempo, sicuramente nei giorni del G8 del luglio 2009, quando ho capito che lì si era trasferito il teatrino della politica e L’Aquila diventava lo specchio d’Italia. Io non ero mai stato a L’Aquila, dovevo andarci pochi giorni prima del terremoto, poi ho dovuto rimandare e quando ho saputo del sisma mi è dispiaciuto tantissimo… ho sentito di avere una sorta di obbligo personale, anche perché nel 2009 ho iniziato a insegnare come docente a contratto presso l’Università di Teramo (il mio corso è Cinema del reale_ Filmare il territorio.)  Guardare un luogo, quindi filmarlo, per me significa anche curare quel luogo. Se anche se non ho un’idea narrativa fare una documentazione audiovisiva in certi momenti può essere molto importante, soprattutto se puoi filmare territori destinati a subire molte trasformazioni.
Così ho cominciato a vagare e a filmare intorno all’Aquila, senza sapere dove andavo, mi sono messo a esplorare questi territori  e a scavare con gli occhi. In un certo senso era una sfida rispetto a ciò che si è perso o si sta per perdere. Poggio Picenze, Camarda, Paganica, Onna, San Gregorio, Villa S. Angelo, Poggio di Roio…In questi luoghi ho iniziato a conoscere le persone, ho avuto incontri intensi ed eccezionali, molte persone sono poi divenute protagoniste nel mio film.

Pensa che il documentario sia la forma migliore per esaltare incongruenze, piuttosto che la fiction?
Il cinema è un modo di raccontare delle storie, se vogliamo riferirci alle categorie “cinema del reale” o “cinema di finzione”, credo che entrambe permettano di esprimersi con grande intensità attraverso  poetiche , pratiche e risorse molto diverse.
Io ho iniziato a fare “cinema documentario” per passione e per il desiderio di raccontare storie reali, del presente e del passato, ma soprattutto del periodo che sto vivendo.
In questo senso credo che il cinema funzioni come uno strumento per chiarire i nostri rapporti con il mondo. Non ho mai preteso di raccontare storie con metodo scientifico, analitico e “imparziale”… Nel documentario c’è la possibilità di usare le immagini per compiere una ricerca su quello che vediamo, su come vediamo. Il documentario può assumere molte forme diverse: non credo agli stili e alle imposizioni di “genere”, per me il documentario è un modo per fare chiarezza, può servire a svelare qualcosa che non conosciamo (aspetti personali oppure culturali, sociali, politici del mondo in cui viviamo) e ad ascoltare i pensieri e le testimonianze degli altri, di persone che raccontano la loro verità, che può anche  non corrispondere alla “realtà” delle cose perché nel racconto di ogni storia si può oscillare tra il vero e il falso.
Il cervello umano non è una macchina, compone la “sua”storia per frammenti, seguendo i ricordi che spesso sono alterati.
L’esplorazione della realtà, o delle realtà possibili, non coincide mai con un solo punto di vista e un solo tipo di visione. Generalmente il documentario ha sempre  una relazione con la realtà, ma è sicuramente paradossale attribuirgli “una necessità di oggettività” nella comunicazione con lo spettatore, se si considerano le pratiche estremamente soggettive di messa in scena, di ripresa  e di montaggio che sono necessarie per la realizzazione di un  film documentario.
Alcuni linguaggi e tecnologie ci incoraggiano a credere che ciò che vediamo e sentiamo corrisponda in modo perfetto alla realtà, ma tuttavia ognuna di queste tecniche  può essere utilizzata per dare l’impressione di autenticità a qualcosa che è stato in realtà falsificato o creato dal niente. La tradizione del documentario conta molto sul mostrarci un’impressione di autenticità. Ecco un’immagine, ecco una storia… E’ vera o è falsa ? Nel gioco delle ambiguità che affronta il cinema del reale, messo sempre alla prova dal problema di “rappresentare la realtà”, mi sono spesso trovato (di sicuro non casualmente!) a raccontare grandi eventi pubblici attraverso storie individuali (il Giubileo e il Gay Pride a Roma, il G8 a Genova, la Notte della Taranta nel Salento, il terremoto e il G8 a L’Aquila…)
Per me la scelta di un personaggio guida è fondamentale anche come scelta di un punto di vista sull’evento a cui si partecipa: il punto di vista del personaggio innesca immediatamente un meccanismo narrativo che facilita l’immedesimazione da parte degli spettatori e li porta dentro l’azione. Così anche io mi immergo completamente nella storia che sto raccontando, la interpreto attraverso le riprese, nelle scelte di fronte a casualità e imprevisti, nella capacità di prevedere ciò che può accadere e poi  lavorando alle varie possibilità di montaggio: poiché questa è una pratica di interpretazione di persone ed eventi  già estremamente soggettiva , poi tendo a farmi da parte, cerco di raccontare come un “occhio invisibile”, non apparire fisicamente nell’inquadratura e non utilizzare la mia voce  come voce narrante di un racconto audiovisivo narrato in prima persona.  Quando ho raccontato storie di eventi collettivi, lo ho fatto sempre attraverso punti di vista individuali, che  spesso coincidevano con quelli dei personaggi dei miei film e non necessariamente con il mio punto di vista personale.
Credo però che anche quando si tende a raccontare la dinamica di un evento nel modo più neutro e lineare, mirando a ricostruire l’oggettività dell’evento, in realtà bisogna considerare che la visione di ogni filmaker è sempre una visione arbitraria e soggettiva, già a partire dalla scelta del punto di vista. In un film lo sguardo di chi filma è sempre parte integrante del racconto , a dispetto di ogni tentativo di “ricostruzione oggettiva”.

Il film della Guzzanti Draquila giunge a incolpare la politica della cattiva ricostruzione. È possibile esulare da questo aspetto di critica politica o è un rischio ineliminabile?
Draquila è un film molto interessante perché dà molte informazioni e svela molte cose sconosciute ai più , è un documentario-reportage nello stile di Michael Moore, che spesso ha la veemenza del pamphlet.
La differenza sostanziale  tra i due film è che il protagonista e l’obbiettivo  di Draquila è Silvio Berlusconi, i protagonisti di Ju tarramutu sono le persone che hanno vissuto il terremoto.
Al centro di Ju tarramutu c’è l’attenzione alla trasformazioni che subiscono i luoghi, i territori e le vite degli abitanti: per Ju Tarramutu non ho mai intervistato politici, esperti e opinion maker, non mi piace molto raccontare attraverso le cosiddette “teste parlanti”, perché mi stancano i montaggi fatti sulle parole, ma è una questione di stile narrativo e gusto personale.
Nel mio film l’immagine di Berlusconi è sempre presente sullo schermo di ogni televisore piazzato nelle tende o nelle villette di Onna appena costruite: è il segno di una conquista mediatica dei territori terremotati, divenuti il teatro di una scenografia di grande effetto drammatico  per propagandare l’efficienza politica e organizzativa del suo governo, deciso persino a spostare il G8 pur di puntare i riflettori internazionali sul terremoto dell’Aquila. Questa politica-spettacolo ha di fatto militarizzato il territorio e spogliato i cittadini della possibilità di riunirsi e decidere del proprio futuro. Senza alcuna progettazione urbanistica adeguata è stato bombardato il territorio di nuovi insediamenti abitativi provvisori ma dal costo enorme. Poiché non si è potuto avere il tempo di pensare, nel film ricorrono
camera car frenetici di gru e mezzi che lavorano incessantemente per tirare su pannelli e prefabbricati, che ancora oggi continuano a spuntare ovunque  divorando la terra.
Alla violenza naturale del terremoto si è sovrapposta la voracità degli interessi, la velocità delle urbanizzazioni, l’impatto violento del Progetto C.A.S.E. che ha sconvolto senza pianificazione un territorio bellissimo, ancora di impianto medioevale. E’ come se gli abitanti abbiano dovuto subire due terremoti, ma il secondo, causato dagli uomini, è stato sicuramente più devastante: a volte la “critica politica” coincide con la semplice constatazione di ciò che è avvenuto.

Con la vostra società invitate al documentario partecipativo. Cosa si intende?
Il film è stato prodotto da PMI, da Big Sur e da OfficinaVisioni, io sono socio della Cooperativa Big Sur, che ha collaborato alla realizzazione e prodotto documentari per importanti emittenti televisive europee: Arte-ZDF, Canal Plus, Planète, Tele+, ORF2, Cult/SKY; RSI. (www.bigsur.it; www.cinemadelreale.it ;www.artb.it )
ZALAB ha curato in collaborazione con noi la distribuzione del film, ed è ZALAB che pratica il documentario partecipativo (vedi il documentario di Andrea Segre e Dagmawi Yimer Come un uomo sulla terra).
Nel mio percorso di filmaker ogni film che ho realizzato è sempre nato da un’esperienza di partecipazione e di condivisione: nel filmare il territorio aquilano ho scelto di “adottare” dei luoghi, in genere delle piazze dei centri storici dei paesi dove si poteva accedere senza troppe difficoltà. Io iniziavo a filmare, qualcuno si avvicinava e mi veniva a raccontare. Dare spazio ai racconti delle persone che ho incontrato è stato un modo per reagire alla propaganda mediatica televisiva che ha paralizzato e stordito per lunghi mesi i “terremotati”.
Lo spazio del film è diventato una sorta di spazio pubblico, un\'agorà, nella quale e dalla quale, far risuonare le voci della gente di L\'Aquila, che dopo le bugie e le mistificazioni del governo, ha deciso di prendere nelle proprie mani la gestione dei problemi della ricostruzione. Le persone che raccontano scelgono di mettersi in scena e vengono coinvolte nel \"gioco del cinema\": allora nasce una complicità creativa nello scegliere il modo migliore di raccontare o ricostruire le esperienze vissute
E’ stata definita “democrazia partecipativa”, per me è una sorta di solidarietà fattiva che, di fronte all\'impossibilità di tornare ad abitare le proprie case, permette se non altro di abitare un film. Ma ho sempre cercato di non rubare lacrime e di non espropriare gli aquilani della loro dignità e del loro dolore. Il film si è intrecciato allo spettacolo “Lettere dall’Aquila” degli Animammersa, ha fatto proprie le loro musiche e alcune voci che attraversano il film, il testo che emerge dal buio iniziale, le invettive e i momenti di dolore della memoria ferita.  La  collaborazione e lo scambio creativo con gli Animammersa è diventata anche una bellissima amicizia.
La conoscenza delle storie degli Aquilani  mi ha convinto a  difendere il  loro diritto di tornare ad abitare la loro città, nonostante che le scelte politiche  siano andate in tutt’altra direzione.

Qual è il suo prossimo progetto?
Ho sempre molte cose da fare… sono anche direttore artistico della Festa di Cinema del reale che si svolge ogni anno d’estate nel Salento e del relativo Archivio che organizza rassegne di cinema documentario a livello internazionale.
II film a cui sto lavorando è quello sulla nascita di una radio web nel centro diurno per la salute mentale di Via Montesanto a Roma: è una sfida emozionante, molto stimolante e creativa perche’ sono anche ideatore del progetto. Inoltre quello sulla vita di Vituccio Nigro, un  cantore-pastore eccezionale che porta a pascolare le sue capre a 20 km dall’ILVA di Taranto, nel territorio italiano più inquinato dalla diossina.
Dal 6 aprile scorso JU TARRAMUTU è stato distribuito nelle sale attrezzate per la proiezione video digitale:da allora è stato proiettato in più di  venti  città… spesso cerco di essere presente alle serate, il pubblico partecipa intensamente, tutti hanno voglia di parlare e scambiare le idee. E’ un impegno che richiede molto tempo ed energie, ma spero che la solidarietà a L’Aquila si riattivi anche diffondendo un film sul terremoto, è un evento “assurdo” che può colpire tutti.

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