Recensione Una notte di 12 anni di Alvaro Brechner

Cinema / Recensione - 11 January 2019 12:50

In sala dal 10 gennaio, distribuito da Bim e Movies Inspired.

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Una notte di 12 anni (La Noche de 12 Años, il titolo originale), applaudito a Venezia, nella lista iniziale per il Miglior film in lingua straniera ai prossimi Oscar, è un film scritto e diretto da Alvaro Brechner.

Film Una notte di 12 anni

Il regista, nato a Montevideo nel 1976, si è già fatto conoscere grazie all'opera d'esordio Mal Día Para Pescar (Bad day to go fishing, 2009), a Cannes per la Settimana della Critica, e il successivo Mr. Kaplan (2014), anch'esso ritenuto il miglior film uruguayano per la corsa agli Oscar.
Una Notte di 12 anni è basato su "Memorias del calabozo" (1986), scritto da Mauricio Rosencof ed  Eleuterio Fernández Huidobro, un memoir sulla detenzione durata dodici anni.


Il colpo di stato

“Nel 1973 l'Uruguay è sotto una dittatura militare dopo diversi decenni di democrazia. Il movimento rivoluzionario Tupamaros è stato sconfitto. I sopravvissuti sono in carcere. Il 7 settembre nove detenuti Tupamaros vengono sequestrati in segreto dal governo militare. Questa è la storia di tre di loro.” Sono Josè Mujica, Mauricio Rosencof ed Eleuterio Fernández Huidobro: el Pepe, el Ruso ed el Ñato. Non sono più prigionieri, ma veri e propri ostaggi dello Stato.
Da spettatori, vedremo un medico scioccato per le condizioni dei tre detenuti: sarebbe un atto infinitamente più misericordioso fucilarli, dice ai carcerieri. Tuttavia, la perversione della dittatura militare, nata da un colpo di stato, è quella di farli impazzire.
Ai familiari delle vittime sono concessi eccezionali incontri. Difficile avere informazioni sul luogo di detenzione dei tre Tupamaros.

La regia è scrupolosa nel restituire il dramma storico. I dialoghi sono essenziali. Le sequenze disegnano la mappa di epifanie progressive.

La prigionia

Mujica (Antonio de la Torre), Rosencof (Chino Darín) e Huidobro (Alfonso Tort) vivono in isolamento, di prigione in prigione. Le loro celle sono più disumane di altre - pozzi, catacombe: senza aria, luce, spazio per muoversi, letti per dormire. Brechner evita di indulgere lo sguardo sulle torture fisiche, focalizzando quelle psicologiche. Una partita a scacchi giocata tra i muri; l'ascolto delle confidenze tra guardie; penna e carta per brevi periodi, di fortuna in opportunismo; la vista di un paesaggio e di un cielo in cambio di un favore: sono episodi che si contano sulla dita di una mano. La gioia di un gabinetto in cella arriva alla fine della detenzione.

Un poeta, un idealista e un candidato alla pazzia. Sembrerebbe un film cupo, ma non lo è. In questa folle vicenda c'è spazio per l'umorismo, merito di Brechner che si sintonizza sullo spirito di resilienza raccontato nel libro.

Preoccupano le condizioni di Mujica. Sta combattendo contro la pazzia. Sente voci, sente un calore nell'orecchio. Riesce a farsi visitare da un medico: un insperato contatto con il mondo esterno.
La diagnosi è di una psicosi delirante. La dottoressa prescrive una pastiglia per dormire. Lui preferirebbe avere la possibilità di usare la mano per mettere ordine ai suoi pensieri. Lei gli consiglia di aggrapparsi a qualcosa, qualsiasi cosa. È credente? Ma quale Dio permetterebbe questo?
“Se il Dio in cui lei crede sta in silenzio e lei dice che sono un pazzo... a cosa mi aggrappo?”, chiede Mujica.

Sono anni che non vede una donna, la luce, le stelle. La psicoterapeuta ci tiene a raccontargli una storia: “Quando avevo quindici anni, mia madre è morta di cancro. Allora decisi... che sarei diventata medico. Ho studiato e mi sono laureata. Ho visto centinaia, migliaia di pazienti, in vent'anni. Ma un giorno mi sono svegliata e non volevo venire al lavoro. Non riuscivo a uscire di casa, ad alzarmi dal letto. Non volevo parlare con nessuno. E ho pensato, e pensato... Come lei. Finchè mi sono resa conto che, qualunque cosa facessi, mia madre era sempre morta. Allora mi sono alzata e sono tornata a lavorare. Eccomi qua, faccio quello che posso. Le chiedo di fare quello che può. Si aggrappi a quello che può”.
Giunge il militare di guardia. Il dialogo tra la dottoressa e Mujico prosegue con la scusa di una formalità: “Le faccio avere da leggere e da scrivere”, lo rassicura. E, sottovoce: “Resista. Cerchi di sopravvivere. Manca poco”.

Nel 1985, infatti, el Pepe, el Ruso ed el Ñato saranno liberati: destinati a governare il Paese sulla rotta della democrazia.

© Riproduzione riservata



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