Recensione del film Bokeh, un'opera che disorienta acclamata dalla critica

Cinema / Recensione - 09 May 2017 08:00

Abbiamo visto in esclusiva il film "Bokeh", acclamato dalla critica statunitense. Mauxa l'ha visto in anteprima.

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Bokeh è il film drammatico e sci-fi uscito negli Stati Uniti e che ha avuto ottime recensioni dalla critica.

È diretto da Geoffrey Orthwein e Andrew Sullivan, con Maika Monroe, Matt O’Leary e Arnar Jónsson. Abbiamo avuto modo di visionarlo e l’impressione sorta è quella di un’opera disturbante, che lascia una lunga inquietudine.

Quando un lampo di luce spezza il cielo durante una vacanza romantica in Islanda, Jenai (Maika Monroe) e Riley (Matt O'Leary) si svegliano e scoprono che ogni persona sulla terra è scomparsa. La loro lotta per sopravvivere e per comprendere il misterioso evento li porta a riconsiderare tutto ciò che sanno di se stessi e del mondo.

Così Jenai e Riley anche al telefono non riescono più a parlare con nessuno. In auto giungono in un paese completamente vuoto: è questo l’aspetto più problematico del film, perché senza personaggi ulteriori i due protagonisti dialogano sempre tra di loro per l’intera durata.

Fare la spesa al supermercato è comodo, tanto che i due si riforniscono di viveri, entrano in case che non gli appartengono, staccano abiti dai negozi.

Rispetto a film come “Arrival” o “10 Cloverfield Lane” in cui si pone una spiegazione irrazionale a ciò che accade - l’arrivo di un’astronave o la sparizione delle persone all’esterno di un bunker per via di un’epidemia - in “Bokeh” si aggiunge il senso ulteriore di ciò che all’uomo sia reso possibile senza interferenza altrui. Come si vivrebbe se nessuno ci fosse, e quali ricchezze potrebbero essere accumulate?

Domande a cui il film risponde solo in parte, perché si lascia spesso condizionare dai paesaggi deserti che ambisce a mostrare. La scelta del film è quindi quella di raccontare anche una terra senza invasioni di zombie, che imperversa nel cinema e nelle serie tv apocalittici. “Amiamo le storie di fantascienza cerebrale - hanno detto i registi - chiedere al pubblico di immaginare cosa farebbero se loro fossero in questa situazione”.

La stessa fotografia muta la percezione che i personaggi hanno della realtà così modificata e isolata: è spesso sfocata come il mondo alterato che abitano. Il personaggio di Riley non caso è un fotografo, e volte lui sceglie di vedere il mondo attraverso una lente anziché con gli occhi. Il film acquista valenza quando Riley vuole fotografare paesaggi rari, come cascate o pendii di un vulcano.

Le mancanze narrative quindi vengono sopperite da una preminenza visiva rara, che se dal punto di vista del budget ha aiutato il film, lo stesso si può dire di quello della suggestione. Infatti entrare in una città vuota è un’immagine anche metafisica che - senza bisogno di attori - incrementa in maniera esponenziale il fascino del film.

Finalmente nelle loro peregrinazioni Jenai e Riley incontrano un uomo, ma anche questo non crea una soluzione nel film. Non si sa perché sia rimasto in vita, e né se sappia la fine degli altri. Nel film non si motiva neanche il motivo delle sparizioni.

La critica ha apprezzato proprio la capacità di produrre curiosità durante tutto il film (RogerEbert.com), con scenari riconoscibili (Los Angeles Times), tenendo desta l'attenzione con lucidità e ingegnosità su un budget limitato (Variety).

In una congerie di film che tendono spiegare nei minimi dettagli ogni mistero secondo ferree regole di sceneggiatura, “Bokeh” appare come un’opera indispensabile, che sa disorientare lo spettatore.

© Riproduzione riservata



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