Recensione film Il gioiellino, la trama di un crac tutto italiano
Film Il gioiellino: esce nelle sale il film sulla crac Parmalat, tra nepotismi e azzardi

Il regista Andrea Molaioli ci aveva abituato con La ragazza del lago (2007) a pellicole che dalla quotidianità sviscerano aspetti più tenebrosi, e mai come in questo periodo sembra che la vicenda di Yara Gambirasio di cui non si conosce ancora l’assassino si confonda confondersi con la fiction. Il film del 2007 raccontava di studentessa giocatrice di hockey, rinvenuta morta e nuda sulle sponde di un lago: quando l'indagine investe le famiglie del villaggio l’ipotesi che l’omicidio sia maturato tra le le poche famiglie del paese si fa più plausibile.
Lo stesso approfondimento avviene ne Il Gioiellino, vicenda della famiglia Tanzi, che qui si chiama Rastelli, e dello scandalo e crac Parmalat.
La storia è quella di una grande azienda agro-alimentare, espansa in tutto il mondo e che del latte fa il suo emblema. Non solo di business, ma anche di immagine: il candore dell’alimento è quasi quello da loro bramato (qi la bevanda si chiama Leda). Quotata in Borsa, è stata fondata da Amanzio Rastelli: lui ha fatto in modo che nei posti strategici del management sedessero i parenti più vicini, come il figlio, la nipote. Se è vero che la formazione imprenditoriale è uno degli assi portanti del nuovo capitalismo, qui questo aspetto langue: i loro studi si fermano al diploma in ragioneria. Sia pr inesperienza, che er rapida ingordigia , il gruppo s’indebita, i bilanci si falsificano, le vendite si gonfiano, si chiede l'appoggio dei politici fino ad accollarsi il rischio sui risparmiatori attraverso operazioni di finanza creativa sempre più temerarie. Il resto è storia.
Ottima è l’interpretazione di Toni Servillo, più aderente alla parte rispetto al precedente Gorbaciof, racchiuso in un mondo che non vuol far trapelare ma al contempo stremato quasi dai suoi pensieri. Il film riesce a rendere attuale un argomento ormai visibile ogni giorno, con la crisi finanziaria imperante, e quasi a motivarne scelte ed esiti. Senza però giustificarlo.
Soprattutto è la trama ben congegnata a lasciare spazio alla fantasia, non fossilizzandosi nella mera riproposizione di fatti (pericolo sempre in agguato in questo genere di film, basti vedere Il divo di Paolo Sorrentino).
L’unico problema della pellicola è che già nella tematica, gli spettatori sono selezionati: quanti ragazzi reduci da Che bella giornata potranno interessarsi a questo tipo di vicenda? Si dirà che non è poi così importante, ma se un film come Wall Street (1987) di Oliver Stone o Capitalism: A Love Story (2009) di Michael Moore - sulla crisi finanziaria scoppiata per colpa dei mutui subprime - riesce ad appassionare ad ogni età ci sarà un motivo. Pare però un problema sventato dal cinema italiano, sempre oscillante tra spettatori dai gusti non conciliabili. Bene fa Molaioli a disinteressarsene, basta poi non lamentarsi se all’estero il cinema italiano sia visto come un saggio sociologico da infliggere come penitenza quaresimale.
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