Recensione film Poetry. Eccesso di trama

Cinema / News - 01 April 2011 10:28

Il cinema coreano propone una pellicola intimista e thriller

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Una donna malata di Alzheimer si appassiona della poesia. Ecco la trama di Poetry di Lee Joon-dong (già regista di Oasis, 2002): l’ambientazione in Corea rende ancor più idilliaco questo assunto, e se poi è grazie alla poesia che si scopre il colpevole di un delitto, siamo a livelli che anche Hitchcock si sognerebbe. È proprio grazie ai versi – durante un corso di poesia - che la 66enne Yang Mija, scoprirà in cinque giovani i violentatori di una studentessa morta e il cui cadavere fu trascinato da un fiume.

Mescolando poi l’aspetto blandamente thriller con un sentimentalismo familiare tipico della cinematografia orientale, lei - da badante - fa anche sesso con l’uomo che accudisce, per poi cercare di riallacciare un rapporto con la figlia.

Molta carne al fuoco, quindi, come accade spesso nelle trame che cercano di indorare la pillola delle problematiche quotidiane con troppo zucchero: in Secret Sunshine (2007) il regista raccontava di una ragazza madre che perde il marito, si trasferisce ma la tragedia l’aspetta ancora, con un percorso di amore, perdono e fede. Alla fine questo eccesso narrativo emerge nella visione del film, che forse proprio per questa sua capacità di legare trame distanti ha vinto il premio della sceneggiatura al  Festival di Cannes 2010.

L’ambientazione è perfetta, nella città portuale di Busan, con l’acqua che fa da contraltare ai dilemmi emotivi e alle inquietudini umane: ma contenere in una pellicola, un problema come l’Alzheimer, la poesia, l’assassinio, la scoperta dei colpevoli, la riscoperta dei valori della vita pare eccessivo. Anche per un film coreano.

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