The Town of Light: intervista a Luca Dalcò, fondatore del team italiano LKA

Games / Intervista - 16 January 2018 14:00

The Town of Light è un videogioco indie prodotto dalla software house italiana LKA, un viaggio introspettivo e personale ambientato nell'ex ospedale psichiatrico di Volterra

image
  • CONDIVIDI SU
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon

Film Un marito a metà

The Town of Light è un'avventura in prima persona ambientata nel manicomio, ormai abbandonato, di Volterra, una produzione che esplora la sofferenza e il dolore interiore di Renèe, un'ex paziente che torna nella struttura per rivivere e scoprire il suo passato. I temi trattati, maturi e complessi, poggiano le loro basi su fatti realmente accaduti, trasportando il giocatore in un viaggio fortemente incentrato sulla componenete narrativa. Il gioco, dopo essere stato inizialmente lanciato solo su Steam nel 2016, è arrivato anche su PS4 e Xbox One lo scorso 6 giugno. Per conoscere meglio la storia, dietro allo sviluppo del titolo, abbiamo intervistato Luca Dalcò, fondatore e direttore del piccolo team italiano LKA, chiedendogli anche dei progetti futuri e della collocazione del media videogioco all'interno del panorama italiana.

The Town of Light

D. Quali sono state le vostre principali ispirazioni per The Town of Light? Produzioni recenti quali Amnesia e Outlast o qualcosa maggiormente legato al cinema?

Luca Dalcò: Sul fronte videoludico considero di ispirazione Dear Esther per essere stato il capostipite di una nuova tipologia di giochi, dimostrando che è possibile produrre giochi in cui la narrativa sia la componente dominante dell’esperienza. Dear Esther è un caso unico, non replicabile ( e lo scarso successo dei titoli che ci hanno provato sembrerebbe darmi ragione). La sua impostazione estrema in cui non si fa nient’altro che camminare esplorando ambienti ispirati ed ascoltare una voce fuori campo oggi non funziona più, occorre arricchire l’esperienza e questo sarà la sfida per i giochi narrativi del futuro: trovare meccaniche stimolanti che non interferiscano negativamente sul pathos narrativo, ma che anzi lo rafforzino. In tal senso trovo eccezionale il lavoro fatto con “What Remains of Edith Finch” che sarebbe stata una grande fonte di ispirazione, purtroppo, però, è uscito un anno dopo The Town of Light. Le maggiori fonti di ispirazioni per quanto concerne la storia raccontata da The Town of Light restano i libri che, da angolazioni differenti, raccontano la storia dell’istituzione manicomiale prima delle riforme e della sua abolizione. Posso citarne alcuni particolarmente significativi, come Il Manicomio Dimenticato, Le Officine Della Follia, Il Frenocomio Di Volterra, Invito Al Manicomio e Diario Di Una Schizofrenica.

D. L'idea di ambientare l'intera esperienza in un manicomio italiano, da dove è nata? E la raccolta di materiali e documenti, legati al luogo scelto, quanto hanno aiutato nel costruire un ambiente credibile e affascinante?

Luca Dalcò: C’è sempre stata la volonta di non copiare prodotti stranieri, ma di cercare di creare qualcosa che fosse italiano al 100%. L’ambiente di Volterra era perfetto per molte ragioni, anche legate alla narrativa. Non si tratta infatti del manicomio dell’immaginario collettivo, ossia del grande edificio incombente. A Volterra ci sono molti padiglioni immersi in una natura lussureggiante. Questo era lo specchio dell’animo della giovane protagonista e delle ombre oscure che si affacciavano sulla sua esistenza. Abbiamo presato attenzione a molti piccoli dettagli, a volte apparentemente trascurabili, convinti che il loro insieme restituisca una sensazione di realtà altrimenti difficile da ottenere.

D. The Town of Light è un'esperienza incentrata sulla storia, essenziale nel gameplay. Il lavoro per la sua realizzazione quanto è stato difficile, e su quali aspetti avete puntato maggiormente sin dall'inizio?

Luca Dalcò: L’energia che ha fatto nascere il progetto stesso scaturisce dall’empatia per le persone che hanno sofferto in questi istituti e che ancora oggi, se pure in una situazione sanitaria completamente diversa, soffrono per il terribile dolore dovuto alla malattia mentale. Questa empatia è stata la scintilla che ha dato origine al progetto ed è stata il carburante che ne ha permesso lo sviluppo e, infine, l’uscita prima su PC e poi su Playstation 4 e Xbox One. La difficoltà maggiore è stato comunicare quello che stavamo facendo. Il videogioco viene spesso visto come qualcosa non adatto a trattare certi argomenti e, per conseguenza, spesso siamo stati “sospettati” di voler sfruttare drammi reali per un operazione commerciale priva di valore socio culturale.
Fortunatamente con fatica siamo riusciti a spiegarci e il titolo è stato accolto in modo molto positivo, con rare eccezioni, dalla stampa internazionale. Questa è stata una grandissima soddisfazione e ci ha confermato che il mercato è maturo per accogliere titoli profondi e drammatici.

D. L'aspetto di cui andate più fieri e soddisfatti del gioco?

Luca Dalcò: Averlo fatto. Detto così può suonare strano, ma se pensi che il gruppo di lavoro è nato sul progetto, che era il primo gioco per tutti i membri del team, che abbiamo imparato mentre lo realizzavamo e che è stato completamente autofinanziato, overo che tutti abbiamo lavorato senza retribuzione e, anzi, sostenendo delle spese... beh, capirai che si tratta di un mezzo miracolo, la produzione di un videogioco è una cosa complessa e noi l’abbiamo affrontata a occhi chiusi, animati dalla passione e dalla voglia di riuscire.

D. I videogiochi in Italia non hanno mai avuto un'alta considerazione mediatica, nonostante l'evoluzione e la crescente diffusione. Negli ultimi anni senti che sia cambiato qualcosa? Anche a livello di software house come la vostra, Milestone e Ubisoft Milano, capaci di partorire produzioni apprezzate a livello mondiale.

Luca Dalcò: L’Italia è un mercato forte sul consumo dei videogame, mentre è debolissimo nella produzione, ma credo che l’Italia si trovi di fronte ad un potenziale boom sul fronte dello sviluppo. La legge cinema di fine 2016 ha riconosciuto al videogioco il potenziale valore culturale annoverandolo assieme a prodotti audiovisivi quali cinema e produzioni televisive. Siamo il terzo paese in Europa, dopo Francia ed Inghilterra, a fare questo passo e di questo dobbiamo essere orgogliosi. Al di là del piacere nel vedere il videogioco eletto a prodotto di potenziale interesse culturale, ci sono delle conseguenze molto più pratiche che potrebbero accelerare la nascita e la crescita di aziende di sviluppo, ovvero sgravi fiscali sotto forma di credito d’imposta e finanziamenti a fondo perduto.

D. Avete progetti futuri su altre avventure a tema horror o pensate di cambiare genere?

Luca Dalcò: Siamo al lavoro su un nuovo titolo. RImaniamo legati al nostro territorio, alla nostra storia e alla narrativa psicologica. “Martha is dead”, questo il titolo del progetto a cui sono già stati riconosciuti finanziamenti europei, è un thriller psicologico che racconta la storia di una giovane donna che soffre di problemi psichiatrici durante la fine della seconda guerra mondiale in toscana. Anche in questo caso, come per The Town of Light, non so se si può parlare di horror vero e proprio, quanto piuttosto dell’orrore che scaturisce dalla realtà, quando questa riversa la sua furia cieca sui più deboli.

© Riproduzione riservata



Seguici su

  • icon
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon
  • icon