Intervista a Marco Calvani, attore nella serie tv The Four Seasons: ‘Trovare la propria voce’

Tv / Intervista - 26 May 2025 14:30

Scopri l’intervista a Marco Calvani, attore della serie tv The Four Seasons

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The Four Seasons è la serie in streaming, adattamento del film omonimo del 1981. La trama s’incentra su tre coppie che vanno in vacanza insieme ogni stagione, ma le tensioni nascono quando una coppia si separa e il marito porta una donna molto più giovane nei viaggi successivi. Nel cast c sono Tina Fey, Steve Carell, Colman Domingo, Will Forte e Marco Calvani.

Calvani ha lavorato molto a teatro, scrivendo varie pièce come Te lo leggo negli occhi!, Prima che tu dorma, , La vita bassa/Low Life, La città sotto, Beautiful Day Without You, Before We Fall Asleep.

Nella serie tv The Four Seasons hai il ruolo di Claude. Come mai hai scelto questo ruolo, in una serie molto particolare, ambientata quasi in un'unità di luogo?

Sono capitato in questo universo quasi per errore. Da quando avevo vent'anni ho cominciato a scrivere pièce di teatro e poi dirigerle, e non ho lavorato con un attore da quasi 16 anni fino all'anno scorso. Ho fatto teatro per tutta la mia vita, e poi ultimamente avevo ho cominciato a fare cinema sempre come scrittore e regista. Però un giorno Colman Domingo mi chiama dicendomi attore che ha avuto una visione - lui e suo marito - per me. Per un ruolo. Io non sapevo che lui fosse stato scelto. Alla fine mando questo provino, un self tape: mi richiamano per un appuntamento, e comprendo che è un progetto ampio.. Poi finalmente mi arriva l’offerta, per cui - dopo varie riflessioni - ho accettato. Se mi chiedi 'perché hai scelto questo ruolo?’ mi viene da rispondere che è il ruolo che ha scelto me. È stato come qualcosa di più grande di me che neanche desideravo, sopratutto perché tornato ad essere attore di fronte alla telecamera. Questo regalo è stata quasi una benedizione: come fai a dire di no a una serie TV con un cast simile, con Tina Fey, Steve Carell, Colman Domingo, scritta da Dio, con persone meravigliose e personaggi soci vivi. Alterna momenti di umorismo, con emotività profonda, ha una sua freschezza e fluidità. Insomma, ho dovuto abbandonare tutti i miei progetti. Avevamo appena fatto la premier del mio primo film da lungometraggio, High Tide, stavamo facendo un tour di festival, e questo nuovo lavoro mi era apparso come uno ostacolo. Sai, quasi un impedimento.

L'anno scorso, di questi tempi, ero lì a decidere, e un anno dopo è già uscita, tanto che la settimana scorsa è stata confermata la seconda stagione.

Avete provato a lungo o c'è una dose di improvvisazione, che mi pare emerga guardando gli episodi?

No ti sbagli, non c'era proprio spazio per le improvvisazione. Più che mai, non c'era bisogno. Tutto quello che diciamo è veramente sulla carta. Ovviamente questo non ha impedito che sul set si realizzassero conversazioni con il regista, con gli altri showrunner. In generale, abbiamo letto gli episodi in anticipo, abbiamo cominciato a girare a metà settembre del 2024, e nel corso dell'estate tra luglio e settembre ci incontravamo su zoom e leggevamo ogni due settimane. Così, ci siamo conosciuti tutti e abbiamo imparato a conoscerci. Abbiamo imparato a conoscere anche il nostro senso dell’umorismo, la reciproca energia, però non ho incontrato nessuno prima delle riprese. C siamo visti a New York, dove abbiamo girato, per fare tutte le proprie costumi, e lì ho incontrato per la prima volta Tina.

Il primo giorno di riprese eravamo proprio io e Tina, la prima scena era da girare alle cinque del mattino, ero teso e nervoso. Sai, anche un po' arrugginito: ma poi se ha del talento, riemerge subito. Non c'era nessuna ego in gioco, nessuno voleva prevalere sull’altro: è la natura stessa del copione. Alla fine siamo sei sette persone, sempre insieme, con location abbastanza minimali, con molte scene corali. È emersa un’affinità così naturale e spontanea, e spero che il pubblico la stia notando.

Nella pièce Io sono Dracula - da te scritta - si realizza un viaggio che parte da Bram Stoker per esplorare la vulnerabilità degli esseri umani. C'è un filo rosso che lega la tua recente produzione teatrale, come Maspeth, Beautiful Day Without You?

Col cinema tendo ad essere affascinato da storie che hanno una risonanza politica. Questo non vuol dire che stiano storie esplicitamente di ordine civile, ma possono anche essere storie d’amore. Però mi piace che abbiano un risonanza nel panorama attuale della nostra società, di come viviamo: che che possa avere un impatto, tanto da porre alle persone e allo spettatore delle domande. A dire il vero, spesso ho raccontato storie di persone e margini, senza una voce nel mondo, e quindi è come se prestassi la mia. Per dargli un luogo sul palcoscenico, o un posto al cinema. Spesso ho raccontato storie di rifugiati, di migranti, persone anche ai margini della società. Ad esempio adesso ho appena terminato riscrivere un copione per il cinema, è la storia di un'attrice di mezza età che non riesce più a lavorare, perché non c'è spazio per lei nel mondo contemporaneo di Hollywood, che disprezza invecchiare. Per cui anche in questo caso ho scelto un personaggio ai margini di un’industria. Credo che mi piaccia raccontare storie di persone che cercano di appartenere a qualcosa, trovare la propria voce, imporre la propria presenza in maniera non violenta.


Teatro -  Othello - Otello di William Shakespeare - immagini

Sei uno dei rari attori italiani che ha un ruolo da protagonista in una serie statunitense. Come mai hai scelto di guardare oltre l'Italia per la tua carriera?

Anche qui, sai, credo che la vita sia fatta di scelte. Non ho mai avuto il sogno americano. Se avevo un sogno era quello di viaggiare col mio lavoro, per cui quando ho cominciato a scrivere le mie pièce, sono state prodotte anche altrove, all’estero in diverse lingue. Mi sono sempre offerto di viaggiare con loro, ovviamente mi invitavano a vederle. A volte le ho prodotte io stesso. A volte ho creato produzioni internazionali. Poi a un certo punto un lavoro mi ha portato a New York. Avevo 30 anni, stavo lavorando sodo con la mia compagnia. Avevamo uno spazio, giravamo in var teatri in Italia, mai mai facendo una lira. Tutto quello che guadagnavamo, lo rimettevamo subito nello spettacolo. Non è mai stata una questione di soldi per me, mi sono fatto un m**zo per tutta la mia vita, e quando dico che il teatro mi ha dato raramente dei soldi, vuol dire che nel mentre facevo altri sette lavori per potermi guadagnare da vivere, e trovare tempo per poter scrivere, dirigere. Quando sono arrivato a New York, mi sono reso conto di una cosa straordinaria che non avevo ancora conosciuto a 30 anni, dopo dieci anni di lavoro duro. A New York, il lavoro dello scrittore è molto più importante del regista. Era la dignità del mestiere che mi ha colpito, stupito e affascinato. Per dopo questa grande produzione, che era Roba di questo mondo per la regia di Neil LaBute (già presentato a Spoleto, n.d.r.), doveva restare poco tempo a New York… e sono passati due anni. Sono ritornato con un'altra produzione, con un testo mio, e ho detto ‘ok. Mi piacerebbe restare qui per un po' a capire come funziona”. Ed eccomi qua 12 anni dopo.

Puoi parlarci del recente film che hai diretto, High Tide?

Parlavamo prima del fil rounge. High Tide è la storia di di un immigrato latino dal Brasile, senza documenti che si ritrova qui negli Stati Uniti praticamente abbandonato dal suo fidanzato americano. La ragione per cui era venuto qui - ma anche la ragione per cui era venuto qui nelle Stati Uniti - era scappare dalla famiglia, e da un luogo in cui non poteva e riusciva ad essere se stesso. In questo momento lo incontriamo nel film, in un limbo in cui non può restare più negli Stati Uniti perché non hai documenti, e non vuole rientrare a casa perché significherebbe la morte. La morte emotiva. Lui sta cercando di diventare se stesso: in questo momento incontra un afroamericano, anche in bilico, in un momento in cui si sente perduto per altre ragioni, in quanto uomo di colore negli Stati Uniti e che invece sta partendo dagli USA in cerca di se stesso. Però si innamorano, ed è questo il filmUn film molto contemplativo, malinconico, storia di due persone ai margini, che stanno cercando disperatamente un posto nel mondo da poter chiamare ‘casa’. Persone che si incontrano e che si spezzano. È un film a cui tengo molto, è personale, non perché la storia sia la mia, la vi ho infuso tanto di me stesso. Poi è il mio primo film, per cui c'è un attaccamento affettivo. Non indifferente. Poi l'ho fatto anche con mio marito, Marco Pigossi, che è l'attore principale del film, per cui è un po' come il nostro il nostro primo figlio. Primo di tanti.

Puoi anticiparci qualcosa dei prossimi progetti?

È stato annunciato la settimana scorsa. Innanzitutto avrò la stagione numero die The Four Seasons da girare, questo autunno. E il prossimo anno - tra marzo e aprile - sarò sul set col mio nuovo film, Capitana. È un film che ho scritto con un'altra persona, Eve Ensler, autrice d I monologhi della vagina. Abbiamo scritto questo copione basato sulla biografia della biologa tedesca Pia Klemp, che sette anni fa - quando aveva 35 anni - ha abbandonato tutto dietro di sé - e torna al filo rosso - per andare nel Mediterraneo con un gruppo di amici attivisti e salvare le vite dell'immigrati che stanno morendo in mare. È stata poi arrestata dalla polizia alla Guardia Costiera italiana. È un film epico, un film straordinario. Non vedo l'ora di realizzarlo: ritengo assolutamente essenziale affrontare il tema in questo momento, essere solidali, per ispirarci ed essere degli eroi in un mondo in cui prima o poi saremo tutti dei rifugiati, che sia tra 15 anni o 350. Se non lo saremo, o lo siamo stati.

Ci puoi dire qualcosa sul cast?

Non posso dire niente… poi c'è un altro progetto. Ma non posso accennarvi. Confermo che è un film internazionale, molto europeo, sarà girato in Europa, tra Italia, e Germania, Serbia e Malta.

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