Venezia 81. Intervista ad Antonietta De Lillo, l’Occhio della gallina

Cinema / Intervista - 05 September 2024 07:00

Vicenda umana e giudiziaria della regista de Il resto di niente

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Film L'altra metà - The Half of It

Lei ha avuto una vicende giudiziaria importante, cominciata con il film Il resto di niente, che tuttavia è stato presentato alla 61esima edizione del Festival di Venezia ottenendo un buon successo. Cosa ricorda di quell’esperienza? Quali erano i suoi sogni, o aspettative di allora?

Le mie vicende giudiziarie iniziano dopo vent’anni di carriera, nel 2004, quando presento fuori concorso, nella sezione ufficiale, Il resto di niente che è stato un grande successo di critica. Il film esce, gli esercenti vogliono le copie, il pubblico vuole il film ma le copie non vengono stampate e faccio causa per cattiva distribuzione. Da lì il mio cinema è finito in tribunale, prima con l’Istituto Luce poi con il Ministero. Che mi aspettavo allora? Io non mi aspettavo niente. Ero un’apprezzata regista, lo sono anche ora spero, che stava facendo la sua carriera iniziata nel 1985 con “Una casa in bilico” e arrivata all’apice con “Il resto di niente”. Non ho mai fatto il cinema aspettandomi chissà cosa, è una cosa che mi sento a mio agio fare e le cose arrivavano naturalmente. Invece è arrivata questa ingiustizia e questo stop alla mia carriera proprio quando ho realizzato il mio miglior film, questo sicuramente non me lo aspettavo. Non mi aspettavo di conoscere un potere così arrogante che invece di dialogare e trovare una via d’uscita continua ormai da vent’anni, prima con le vicende de Il resto di niente - ho ricevuto una bella diffamazione di 250mila e a difendermi scese anche Ettore Scola - e poi con quello che doveva essere il mio prossimo film, che invece non è mai stato realizzato e abortito. Ci sono state sentenze che chiedono al ministero di essere applicate, comunque di riconoscere che non mi hanno voluto dare volutamente un finanziamento pur avendone diritto, l’ultima sentenza lo dice chiaro e forte. Credo che questa è una storia che riguarda me e tantissime altre persone, non solo registi e autori, ma anche architetti, medici, operai, insomma siamo in cui la gestione del potere non è più gestione di responsabilità o di possibilità di fare le cose giuste ma è sempre una manifestazione di forza al di là del buon senso.

L’Occhio della gallina racconta la sua vicenda umana e giudiziaria. Da cosa nasce la volontà di raccontarsi e raccontare la sua esperienza?

La volontà di raccontare questa vicenda e perché secondo me una vicenda molto forte che racconta la storia di tante altre persone, è una vicenda che il mondo del cinema sapeva a frammenti. Invece metterla in fila con gli strumenti del cinema, che non sono gli strumenti delle indagini televisive, ma gli strumenti emotivi del cinema. La possibilità del cinema di rendere visibile ciò che è invisibile, secondo me era un atto dovuto. Dovuto non solo perché sia chiara la mia voglia di dialogare con le mie controparti e di trovare una via d’uscita, ma anche come stimolo alla collettività. Io penso che la collettività oggi si sente schiacciata dalle ingiustizie, schiacciata dall’impossibilità di far valere le proprie ragioni. La mia è una storia sì di mortificazione, sì di aver creato del terreno bruciato attorno a me, ma anche una storia di resistenza. Una storia per cui si deve alzare il dito e comunque con le mie forze, con la mia arte, con le persone che intorno mi hanno sostenuto e collaborato al film, io a Venezia con il mio ci sono arrivata e i giornalisti, i critici, mi hanno guardato e hanno apprezzato il mio lavoro. Questo non è poco e da ora in poi l’Occhio della gallina dovrà camminare grazie all’attenzione degli esercenti, di chi vorrà proiettarlo. Insomma, inizia una distribuzione fatta dalla stessa Marechiaro film e spero che veda questo film che cammina per l’Italia e oltre perché secondo me il suo lavoro lo deve fare.

Come è tornare a Venezia con un nuovo film?

Devo dire che Venezia è sempre stato un posto che mi ha accolto. Mi ha accolto con un film molto sperimentale “I racconti di Vittoria”, con “I Vesuviani”, mi ha accolto con “Il resto di niente”, mi ha accolto con Il signor Rotpeter. Per me stare a Venezia è un luogo familiare. Due o tre anni fa ho fatto una mostra grazie alle giornate degli autori esposta sia al palazzo del cinema che la sala laguna. Perché io a Venezia venivo come giovane fotografa. Le mie prime fotografie lo ho fatte qui, quando Venezia era una agorà culturale. Quindi come mi sento? Mi sento bene. Felice. È un festival importante e nonostante tutto, nonostante tutte le traversie che ho passato sono qui con l’Occhio della gallina.

Perché l’Occhio della gallina? Può rivelarci il significato del titolo?

Non vorrei raccontare il perché del titolo, ma mai mai come in questo caso il titolo ha un doppio significato. Da una parte un ricordo. Un ricordo di quando ero bambina. Un ricordo anche un po’ terrificante che poi si scioglie come neve al sole. E dall’altra parte questa particolarità della gallina che ho scoperto da bambina, appunto di chiudere l’occhio al contrario e quindi di prendere un po’ la vita al contrario mi ha sempre aiutato. Anche quando io faccio i film storico come Il resto di niente, allora penso a fare un film antistorico. Faccio un film che ha come protagonista gli adulti, e allora penso di farli vedere dai bambini. Faccio un mio autoritratto e allora capisco che sono gli altri che devono guardare me e non mi devo guardare io. Insomma io ragiono sempre un po’ in maniera capovolta. Decidono che sono persona non grata? Non mi sembra giusto e quindi continuo a fare cinema ed evidentemente, nonostante tutto ci riesco ancora.

Chi è Antonietta De Lillo, se potesse definirsi in poche parole e fuori dal contesto giudiziario, e quale sarà, se può, anticiparlo, il suo prossimo progetto?

Chi è Antonietta De Lillo è una risposta che preferirei parlasse il mio film. Più che farmi un autoritratto e dire, signori eccomi sono qui non mi sembra carino aggiungere altre parole. I film parlano, ci raccontano forse meglio, o per lo meno io so raccontare meglio con le immagini che con le parole. Quindi l’unica cosa che posso dire di Antonietta De Lillo è che evidentemente se pensa che qualcosa non è giusto lo dice e nel mio piccolo cerco di migliorare la situazione, contribuire per farla diventare giusta.

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