'Il detective Charlie Parker assume il dolore degli altri': intervista allo scrittore John Connolly

Daily / Intervista - 23 January 2017 07:30

Mauxa ha intervistato John Connolly, autore della serie di romanzi su Charlie Parker e "The Gates", che sarà adattato al cinema.

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Film Tutti in piedi

John Connolly è uno degli scrittori irlandesi già prolifici: ha scritto la serie di romanzi sull’ex detective della Polizia di New York, Charlie Parker che dopo la morte della moglie e della figlia si mette in proprio: spesso interagisce con il mondo soprannaturale, negli anni ha varie donne, possiede varie pistole ma non ne usa nessuna. I libri sono editi in Italia da Fannucci.

Mauxa l’ha intervistato. “The Gates” (“Le porte dell'Inferno si sono aperte”, 2009) è uno dei romanzi di Connoly esterno alla serie di Charlie Parker. È un fantasy che racconta del piccolo Samuel Johnson che con il cane Boswell assiste ad un evento quando nella casa dei vicini delle forme s’impossessano di loro. Del romanzo la casa di produzione Amblin Entertainment e Dreamworks stanno sviluppando la sceneggiatura, tanto che il film sarà prodotto da Michael De Luca. Il film "The New Daughter" (2009) con Kevin Costner è tratto da un suo racconto. 

D. "The Wolf in Winter” (“Il lupo in inverno”) è il tuo più recente romanzo uscito in Italia. L’ambientazione è la città di Prosperous, nel Maine. Cosa ti ha ispirato di questa misteriosa città?

John Connolly. A volte vengo accusato - in particolare dai lettori della parte più conservatrice negli Stati Uniti - di introdurre critica sociale e politica nei miei libri, soprattutto perché non corrisponde con i loro punti di vista. Suppongo che in giro per gli Stati Uniti e in altri luoghi ci sia una crescita di comunità chiuse, e un sistema di credenze che suggerisce che non abbiamo solo obblighi. Prosperous è la manifestazione ultima di quella filosofia: è ricca, è una città protetta, in cui le cose funzionano bene e tutti sono cordiali, proprio a condizione che tutti aderiscano alle regole. Coloro che sono meno fortunati non hanno possibilità di stare lì, o forse hanno un posto, ma non c’è un altro luogo in cui si desideri essere.

D. Dal primo romanzo "Every Dead Thing” (”Tutto ciò che muore”, 1999) il detective Charlie Parker ha cambiato le proprie abitudini o ambizioni?

J. C. Penso che in “Every Dead Thing” Charlie Parker abbia iniziato a vivere nella rabbia e nel dolore, che quasi lo distruggevano. Ma circa a metà strada attraverso quel libro egli riconosce un dovere verso gli altri, e così la serie è progredita. Lui è divenuto quasi simile a Cristo nella sua capacità di empatia. Egli assumerà il dolore degli altri, e in questo modo farà riparare le proprie mancanze, e cercare una sorta di salvezza.

D. "A Song of Shadows" è il prossimo romanzo che uscirà in Italia, sempre con il detective Charlie Parker . Puoi raccontarci qualcosa dell’evoluzione della storia?

J. C. Da un po’ di anni ho cominciato ad interessarmi alla caccia degli ultimi Nazisti, in particolare negli Stati Uniti. Così è venuto fuori il caso di un uomo di nome Hans Breyer, che è stato accusato di essere una guardia ad Auschwitz: le autorità statunitensi hanno cercato per molti anni di estradarlo in Germania per affrontare il processo. Breyer è morto la sera prima di partire con l’aereo, così alla fine è sfuggito alla giustizia.

D. È un’ambientazione fosca.

J. C. Ho dato per scontato che gli alleati avessero impiegato decenni andando a caccia di queste persone, dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma in realtà non c'era alcun interesse in questo confronto per almeno trenta anni, in gran parte perché gli alleati raggiunsero un accordo pessimo in cambio di informazioni sull'Unione Sovietica. È stato un collasso morale di massa, e così “A Song of Shadows” è un'esplorazione di quel crollo.

D. John, tu hai scritto anche i romanzi fantasy "Il libro delle cose perdute”, "Dominion: The Chronicles of the Invaders” e la trilogia “The Gates” (“Le porte dell'Inferno si sono aperte”), “The Infernals” e “The Creeps” che saranno adattati al cinema. Pensi che la fantascienza o il mistero siano attualmente il modo migliore per descrivere la realtà?

J. C. Credo che la narrativa di genere, come ogni finzione funziona come un prisma: si rifrange piuttosto che riflettere la realtà, e ci permette di vedere in modi nuovi e diversi. Inoltre, poiché la narrativa di genere è spesso percepita semplicemente come intrattenimento, uno scrittore può intrufolarsi in un sacco di roba sul filo del rasoio senza darlo a vedere.

D. Se potessi vivere in un'altra epoca, quali ti piacerebbe?

J. C. Ogni volta che guardo indietro al passato, sembra sempre di essere un tempo più torvo di adesso. Dico ai miei figli, che temono che il mondo stia cadendo a pezzi intorno a loro, che il mondo è sempre apparso così. Sempre fragile, con pezzi cadenti intorno a noi. Mi piacerebbe tornare a un momento prima dei telefoni cellulari, che ne dici di questo?

D. Sarebbe molto comodo.

J. C. Penso che abbiano reso il mondo un posto più rumoroso, meno privato e più solipsistico.

D. Allora, quale personaggio ti piacerebbe essere?

J. C. Mi piacerebbe essere Bertie Wooster nei romanzi “Jeeves and Wooster” di P. G. Wodehouse, perché sembra avere una vita abbastanza piacevole. Zie scomode a parte.

D. Qual è il tuo libro preferito italiano?

J. C. “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. È stato uno dei primi libri tradotti che abbia mai letto, e sono ancora affascinato dal dilemma che il principe affronta nel libro: che tutto deve cambiare semplicemente perché esso rimanga lo stesso. Ho un debole per la narrativa storica: uno dei miei libri preferiti è “I tre moschettieri di Dumas”, ma compete con quello.

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