Venezia 76: recensione film Guest of Honour
Cinema / Recensione - 04 September 2019 06:30
Per la regia di Atom Egoyan
L’esistenza come ricordo che rimane appeso ad un riflesso nello specchio sembra essere l’assunto espresso dal regista Atom Egoyan in Guest of Honour, lungometraggio in concorso alla settantaseiesima Mostra internazionale del cinema di Venezia. Egoyan espone con abilità le difficoltà del rapporto padre e figlia, reso ancor più complicato dall’assenza di un vero confronto, con la scoperta della verità che emerge impigliata nelle rimembranze.
I personaggi sono presentati con autenticità, calati sapientemente nella trama da una sceneggiatura esauriente che sviluppa snodi narrativi assonanti alla suggestività di alcuni fotogrammi, con immagini che consentono allo spettatore di percepire l’intensità della storia.
Il personaggio di Veronica, la figlia interpretata dall’attrice Laysla De Oliveira, vive un intimo senso di colpa derivato dagli accadimenti che crede di aver procurato, attribuendo la propria condizione alle infedeli scelte paterne. Mentre il padre, rappresentato da David Thewlis, sembra ancorato alla propria frustrazione, zavorrato dalla condanna inflittagli dalla figlia. Un conflittualità che sembra risolversi nella resilienza della memoria.
Con Guest of Honour la regia di Atom Egoya utilizza uno stile elegante che sviluppa con profondità ed immediatezza una trama compiuta, elaborando una narrazione snella. Riuscendo ad appassionare lo spettatore alla vicenda personale dei protagonisti senza gravarlo delle svolte narrative maggiormente tediose, anzi elaborandoli con metafore eufoniche, allusive ed intuitive
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