Tiramisù: recensione del film commedia sull'(in)successo di Fabio De Luigi

Cinema / Recensione - 24 February 2016 08:00

Fabio De Luigi, per la prima volta in qualità di regista, avanza una commedia degli equivoci, sostenuto dalla presenza di Vittoria Puccini. Il risultato, ricco di gag "costruite", non

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Tiramisù è il film proposto nelle sale da Fabio De Luigi, non solo in veste di attore, ma anche di regista e sceneggiatore. Giocando sulla corruttibilità della società odierna, il neoregista traspone sul grande schermo vizi e virtù dei suoi protagonisti.

La trama di Tiramisù ruota intorno al protagonista Antonio Moscati, interpretato da Fabio De Luigi, che si guadagna da vivere come rappresentante di materiale sanitario: le sue giornate sono scandite da code interminabili presso le sale d’attesa dei vari medici di base, ai quali cerca di proporre i suoi prodotti, ma accumulando solo fallimenti. La fortuna di Antonio risiede interamente nell’aver conosciuto Aurora, per il cui ruolo è stata scelta Vittoria Puccini, una donna amorevole e intraprendente, divenuta sua moglie. Un giorno Antonio lascia in uno studio medico un tiramisù confezionato dalla moglie e dal momento in cui il medico lo assaggia, ha inizio una lunga e tortuosa ascesa verso la realizzazione professionale. Si ritroverà a seguire il percorso tracciatogli dal cognato Franco, interpretato da Angelo Duro, un uomo che ha fatto del cinismo la sua ragione d’essere e convincerà Antonio ad intraprendere una strada decisamente diversa da quella a cui era abituato prima di entrare nel rocambolesco mondo degli affari.

Tiramisù nasce come commedia pensata, scritta e diretta da Fabio De Luigi, il comico italiano che, dopo aver riscontrato un ottimo successo di pubblico in televisione in trasmissioni come Love Bugs e Mai dire Domenica, ha iniziato a dedicarsi al mondo del cinema, prima come attore ed ora, per la prima volta, in veste di regista. Oltre dietro la macchina da presa Fabio De Luigi, come di norma, si ritrova davanti ad essa, pronto questa volta a condurre sul grande schermo un inetto, un uomo che non riesce ad inserirsi nella società, se non attraverso inconcludenti tentativi. Tiramisù vuole essere una commedia degli equivoci il cui perno è il mondo del successo, soffermandosi su cosa si è disposti a fare per raggiungerlo… e per mantenerlo!

La monotona esistenza del protagonista, un personaggio incapace tanto di riuscire ad affermare se stesso, quanto di colpire lo spettatore suscitando interesse verso la sua costruzione, subisce una svolta quando gli si presenta la possibilità di dare uno scossone alla sua carriera, agguantando quel successo che gli è stato da sempre precluso. Ma imprevisti, misti ad inganni, narrati attraverso una regia lineare, quasi da soap opera, diventeranno il pane quotidiano di Antonio, che sarà costretto a fare i conti con gli altri, ma soprattutto con l’uomo che è diventato, con se stesso. E allora, quando tra le svariate peripezie da affrontare per continuare ad “avere successo”, Antonio viene inviato nella tenuta del presidente Hubner, per il cui ruolo è stato scelto Orso Maria Guerrini, si può scorgere il ritmo ricco di gag, che però non restituiscono una comicità pura allo spettatore, ma sembrano piuttosto essere forzate, quasi invasive rispetto alla storia raccontata.

Fabio De Luigi si propone come regista, ma non si evince nulla di autoriale nel risultato, nessuna marca distintiva che possa permettere di affermare come questo prodotto filmico sia diverso dagli altri appartenenti al suo genere. La commedia è il genere più abusato in Italia, per fare breccia nello spettatore è necessario stupire, inventare e reinventarsi e, nonostante la comicità comprovata di Fabio De Luigi, il lungometraggio può essere paragonato ad un prodotto televisivo, uno sceneggiato di una sola puntata che non lascia alcuna traccia di sé.

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