The Hateful Eight, la recensione dell'animalesca giustizia western di Quentin Tarantino
Cinema / Recensione - 04 February 2016 08:00
Quentin Tarantino propone un film in cui i suoi otto e più personaggi si incontrano-scontrano non solo tra di loro, ma anche contro il proprio senso di giustizia. Avvalendosi della presenza di
The Hateful Eight rappresenta l’ottavo film scritto e diretto da Quentin Tarantino. Con un cast artistico di notevole spessore, tra ci spiccano i nomi di Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh e Samuel L. Jackson, il regista dipinge il suo lungometraggio di un’atmosfera western servendosi delle musiche composte da Ennio Morricone.
La trama di The Hateful Eight assume le forme più disparate, passando dagli ambienti canonici del western, alle forme della scrittura per giallo, con sfumature thriller e mistery. Tutto ha inizio quando la diligenza sulla quale viaggiano il cacciatore di taglie John Ruth, detto Il Boia (Kurt Russell), insieme alla sua prigioniera Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), si imbatte in un altro cacciatore di taglie, il maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson), intraprendendo un viaggio insieme che li condurrà, non prima di aver fatto salire a bordo anche Chris Mannix (Walton Goggins), al rifugio di Minnie. Per sventare una bufera di neve pronta ad assalirli, i tre troveranno riparo nella locanda, dove ad accoglierli non saranno i soliti padroni, bensì tre loschi individui ed un ex-generale confederato. Tra verità nascoste e bugie che affiorano in superficie, i personaggi saranno testimoni dello sgretolamento delle apparenze, indagando sul senso di una benché minima giustizia terrena.
Potendo poggiare su dei personaggi avvincenti e mai retorici, The Hateful Eight costruisce la propria sceneggiatura, curata come suo solito da Quentin Tarantino, su diverse tipologie umane, ognuna con un proprio bagaglio di sconcertanti avversità affrontate, ognuna pronta a valicare i confini delle proprie paure per scopi più o meno leciti. Attraverso lunghi dialoghi tesi ad indagare i personaggi chiamati a presentarsi non solo tra di loro, ma anche al pubblico in sala, l’utilizzo della parola predomina nella prima parte del film, così come è l’azione a fare da padrona nella seconda parte. La suddivisione in capitoli tesi a chiarire allo spettatore vizi e virtù dei protagonisti rimanda alla celebre saga di Kill Bill, ma nel suo ottavo film Quentin Tarantino opera un’ascesa graduale di intensità che permette di associare The Hateful Eight ad un altro lungometraggio che vira prepotentemente verso il western e analizza il concetto di giustizia, Django Unchained.
Quentin Tarantino decide di riportare in vita il glorioso 70mm, per la precisione l’Ultra Panavision 70, usufruendo delle immense possibilità espressive di un formato che coinvolge lo spettatore all’interno dell’azione. Immortalando sul grande schermo campi lunghi, anche e soprattutto in ambienti chiusi, il 70mm permette di cogliere ogni singola sfumatura di una scenografia curata al dettaglio, di una fotografia tesa a restituire gli ambienti immediatamente conseguenti la Guerra Civile americana, prestando particolare attenzione all’inserimento di più personaggi principali nello stesso quadro. Il tutto non poteva non essere contornato dalla maestosa colonna sonora firmata da Ennio Morricone, che tenta così di conquistare il primo premio Oscar, non prendendo in considerazione l’Academy Award alla carriera del 2007.
The Hateful Eight presenta, dunque, una lucidità nella scrittura che corre verso una progressiva rivelazione dei personaggi e del macabro senso di giustizia che essi desiderano rappresentare. Un’accurata selezione di dettagli registici, mista ad una recitazione intensa e provocatoria, come ad esempio quella messa in mostra da una potente Jennifer Jason Leigh, inserisce quest’ennesima prova firmata da Quentin Tarantino tra i film più apprezzati del regista.
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Quentin Tarantino
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