Recensione: 'The Green Inferno', la tribù si ciba di carne umana secondo Eli Roth

Cinema / Recensione - 24 September 2015 15:09

"The Green Inferno" è il film horror di Eli Roth in cui una tribù si ciba di carne umana. Un film che affronta il tema dell'antropofagia e della diversità, la cui trama

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Film Molly's Game

The Green Inferno di Eli Roth racconta la storia di un gruppo di giovani attivisti che partono da New York verso l’Amazzonia peruviana per salvare una tribù di indigeni, “antica, vista solo in qualche rara foto dal satellinte”. I nativi sono infatti a rischio di estinzione poiché le multinazionali saccheggiano le risorse naturali e distruggono il loro habitat.

Trama. “Alcuni di noi smetteranno di mangiare” dice un personaggio con un altoparlante all’inizio, di fronte a ruspe che stanno distruggendo abitazioni indigene, con una frase che fa presagire altre cibarie. In una lezione universitaria si parla di mutilazioni genitali femminili che avvengono presso queste tribù: “Loro non vengono considerate donne, finché non l’hanno fatto”, spiega la professoressa. La studentessa Justine trova quindi l’appiglio per mettere in evidenza il suo attivismo verso i diritti delle donne, e poiché il padre è avvocato all’ONU cerca di analizzare il problema. Un salto narrativo audace, ma connesso allo sviluppo della trama: non tutti gli attivisti hanno parenti nelle organizzazioni governative.

È grazie ad internet che i giovani vorrebbero mostrare quanto accade nella foresta peruviana. “Vi spareranno, e faranno sparire i corpi”, dissuade un’amica di Justine. Anche il padre di Justine cerca di impedirle di partire, ma la giovane incede.

Justine parte con i nuovi attivisti, scoprendo solo sul posto che i militanti potrebbero avere armi mentre loro hanno solo smartphone. Il gruppo raggiunge l’area del villaggio, dove le ruspe stanno abbattendo alcune abitazioni. Capitanati da Alejandro, gli attivisti vogliono trasmettere tutto in streaming, con followers che condivideranno.

Si incatenano agli alberi, chiudono i lucchetti, con una scena di notevole impatto, poiché Justine con una pistola puntata alla testa dai militanti viene salvata solo perché il padre lavora alle Nazioni Unite. Scene che richiamano la serie televisiva “Band of brothers”, per il labile eroismo che diviene politico. La tecnologia continua ad avere un ruolo fondamentale nel film, poiché i giovani riprendono l’accaduto con i telefonini così da trasmettere in streaming l’azione.

La successiva ambientazione però non lascia tracce di natura paradisiaca: l’aereo su cui viaggiano va in avaria, la carlinga si squarcia e i passeggeri sono dispersi nella giungla. Ottima è la scena dell’aereo che precipita, con passeggeri che volano fuori dal velivolo, lasciando intravedere un sentore horror. Un ramo infilza il cranio di un passeggero, un sopravvissuto finisce ironicamente contro l’elica. Già fino a qui sono vari i motivi per vedere “The Green Inferno”, poiché ha creato commistione di generi diversi pur mantenendo una trama univoca. Si è passato dal genere cinematografico d’impegno sociale, a quello catastrofico con nuances da thriller.

Da questo momento si avvia l’aspetto orrorifico. La fidanzata dell'organizzatore finisce con una freccia infilzata sul collo, e lui dice: “ora ti tolgo la freccia, così puoi respirare”, salvo poi essere colpito anche lui. I giovani sono presi in ostaggio dalla tribù di nativi che erano andati a salvare. Nel villaggio s’innalzano crani appesi ai pali, bambini che strappano i capelli tinti dei nostri attivisti, quasi a lasciare uno scalpo. Il tema dell’ironia del destino affiora, perché quelli che si desiderava salvare solo coloro che uccidono, in un dialogo tragico che crea da subito un incremento di suspense.

La ritualità della tribù non si esplica solo con allusi sacrifici, come avviene in film come “King Kong”: qui le abitudini tribali si mostrano con cannibalismo, atti barbarici e rituali che distruggono il corpo.

Mentre i sopravvissuti sono chiusi in una gabbia, uno di loro è disteso sopra una pietra. Lui sorride, poi il capo tribù gli trafigge un occhio e mangia il bulbo: poi gli taglia la lingua, mentre altri strappano una gamba e alla fine lo decapitano, mostrando la testa che urla verso gli astanti. Un rituale non diverso da quello mostrato dalle odierne immagini del terrorismo. “Pensano che siamo nemici - dice l’organizzatore Alejandro chiuso in gabbia insieme ai superstiti - non possiamo fare niente”. Intanto i bambini guardano la vittima mentre viene cucinata.

Il regista Eli Roth, già autore di “Cabin Fever” (2002) e “Hostel” (2005) nonché attore per Quentin Tarantino in “Bastardi senza gloria” (2009) già ci ha abituato a simili esperienze orrorifiche.

E il cannibalismo, con il cinema connesso è stato uno dei temi più presenti nella recente visione culturare occidentale: basti pensare alla carne umana mangiata in serie televisive come “The Walking Dead”. Per tornare a ”Cannibal Holocaust” (1980) di Ruggero Deodato (che influenzò “The Blair Witch Project”), fino alla scena di “Hannibal” (2001) diretto da Ridley Scott, dove il protagonista apre chirurgicamente una scatola cranica da cui preleva un pezzo di cervello che cuoce e mangia. Oppure ai riti iniziatici, per cui solo mangiando un umano si riesce a procreare la specie. “The Green Inferno” non si allontana da tali spunti, soprattutto mutuando la tradizione editoriale delle società produttrice: la Worldview Entertainment ha prodotto ”Killer Joe”, “Jimmy P.”, “Devil's Knot - Fino a prova contraria” e “Child 44 - Il bambino n. 44”.

L’attrice Lorenza Izzo nel ruolo dell’attivista Justine riesce ben a interpretare il timore di scoprire la novità, pur se ancora troppo acerba per veicolare un tema come quello dell’orrore di fronte alla diversità. Lei segnerà anche la svolta nella trama.

“The Green Inferno” è un film che getta uno sguardo limpido su dove possa giungere la natura umana, con gesti da carnefici ma giustificati dalle proprie credenze. Quasi a testimoniare che solo la presa di coscienza di una moralità possa salvarci dall’istinto bestiale. Nonché sul rispetto della diversità, verso cui non esiste possibilità di conversione.

Film da vedere, dal realismo che rappresenta attraverso una fotografia asciutta, alla sottile ironia che pervade la trama. È valida alternativa sia narrativa che iconografica ai cinecomics o ai film d’animazione che subissano la programmazione. E dopo la visione non sarà più normale mangiare carne animale.

© Riproduzione riservata



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