Recensione Horizon di Tinatin Kajrishvili, il dramma della separazione al Festival di Berlino
Cinema / Recensione - 19 February 2018 08:00
“Horizon” di Tinatin Kajrishvili: dopo l'applaudito “Brides”, la regista georgiana affronta il dramma di un matrimonio fallito.
Al
Festival di Berlino torna Tinatin Kajrishvili con “Horizon” nella
sezione Panorama, film co-prodotto da Studio Gemini (Georgia) e
Momento Film (Svezia).
In questa nuovo lungometraggio, la regista
georgiana, già apprezzata dal pubblico della Berlinale per “Brides”
nel 2014, racconta il dramma della separazione con un finale
spiazzante.
Il
designer Giorgi (George Bochorishvili) non accetta la fine del suo
matrimonio con Ana (Ia Sukhitashvili). Ostaggio di sentimenti
violenti, decide di allontanarsi da Tbilisi e trasferirsi in un'isola
remota circondata dal lago Paliastomi, vicino al Mar Nero.
Qui, alloggia in quel che un tempo era un albergo. Ora è un rifugio di una
piccola comunità solitaria: Jano (Jano Izoria) con un'analoga (inutile) separazione alle spalle, l'anziano Valiko (Soso Gogichaishvili), la
saggia Larissa (Nana Datunashvili) e la giovane Marika (Lika
Okroshidze).
Insieme, formano una famiglia di prescelti che accoglie
l'ambiguo Giorgi con diffidenza e, soprattutto, tanta premura.
Mentre
in città, Ana si addatta a una vita sofisticata, sostenuta dal nuovo
compagno (un agiato uomo d'affari), Giorgi scopre il fascino del
contatto con la natura e una quotidianità diventata, liricamente,
tanto semplice quanto confortevole.
Tuttavia, la visita della moglie nel suo rifugio remoto, avrà effetti letali sul protagonista: Ana lo raggiunge per annunciare l'intenzione di risposarsi. È preoccupata per l'isolamento volontario di Giorgi. Vorrebbe che tornasse a Tbilisi, riprendesse a progettare interni, si occupasse regolarmente dei bambini, come sempre. Si sorprende del positivo cambiamento dell'ormai ex marito, eppure si ostina a volerlo parte della sua nuova routine.
Il finale, come già detto, disorienta protagonisti coinvolti e pubblico: la catarsi dell'uno, si edifica su inquietanti interrogativi che costringono a ripensare la storia daccapo.
“Horizon” propone una tecnica cinematografica in omaggio a quella pittorica. La
wilderness georgiana ha il candore di annegare l'agonia di Georgi. Il
dramma dell'uomo trova ristoro nel contatto perduto con una condizione primordiale: il
corpo si tempera, grazie alle fredde temperature; lo sguardo si
addolcisce.
Georgi è un uomo diverso quando incontra Ana in
visita. Anche lei è cambiata, in direzione inversa. Esibisce un look ricercato, una gentilezza
affettata.
L'artificiosità di un vissuto precedente continua a
bussare alla porta: l'orizzonte è un abisso, dove l'animo si specchia
nel vuoto esistenziale.
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