Recensione film Nightbitch, una trama promettente
Cinema / Recensione - 13 December 2024 10:00
Anche se Amy Adams brilla, Nightbitch è in definitiva un cane senza ossa.
Il solo titolo ha seminato un seme di fascino quando è apparso per la prima volta nell'elenco delle prossime uscite cinematografiche di questa stagione. Un modesto riassunto della trama e un trailer provocatorio di Amy Adams che passa dalle doglie della maternità al camminare a quattro zampe con un branco di cani hanno innaffiato la pianta. La sceneggiatrice e regista Marielle Heller
(A Beautiful Day in the Neighborhood)
adatta il romanzo surrealista di Rachel Yoder a un'esplorazione visivamente raffinata di come l'incontro di una madre con il dubbio e l'identità diventi un po' carnale.
Le prime voci potrebbero aver plasmato le previsioni della metamorfosi di una madre casalinga malinconica, guarnita con tinte scure di un film sulle creature: ma attraverso una messa in scena visionaria, Heller esegue un'analisi più ordinaria. Amy Adams (American Hustle) domina lo schermo semplicemente come "Madre". Esibendo una trasformazione fisica che contrasta con il suo aspetto in altri ruoli, Adams testimonia la sua gamma di recitazione, conquistando empatia con tirate umoristiche e dirette, camminando in acque sempre più alte come genitore amorevole di periferia con una carriera artistica sacrificata a una vita passata. Ti ritrovi a odiare tutto ciò che odia lei, dalla musica per bambini torturante alle routine mondane.
Personificando l'esaurimento, Madre si destreggia con la dinamica di amare il suo giovane figlio, mentre a volte lo vede come un animale selvaggio che non riesce a domare, pensando "forse se non mi muovo, non mi vedrà". Prendendo spunto dal libro dell'horror corporeo di David Cronenberg, con tagli precisi e montaggio raffigurano uno stato mentale destabilizzante. Al posto del giovane corpo che una volta conosceva, Madre trova strani peli in posti insoliti, denti che si affilano e attributi ferini: ci chiediamo, così, se siano reali o immaginari. Suo marito in viaggio d'affari (Scoot McNairy, Argo) le assicura che è tutto nella sua testa. E lui è conosciuto semplicemente come "Marito", non "Padre" per complimentare la "Madre" di Adams. L'implicazione è che non è molto un padre, poco avvvezzo alle esigenze dell'allevamento dei figli.
Una trama promettente ricorre a una narrazione convenzionale
Il rimpianto costruisce risentimento. Madre non si sente più un'artista, poiché la parte di sé che amava di più è morta. Mettendo in discussione le sue scelte, impulsi primordiali attirano l'attrazione mentre i cani iniziano a occupare una presenza misteriosa nella sua vita. Inclinandosi verso quella che sembra una trasformazione naturale, Madre abbaia alla luna in una modalità di sopravvivenza che ridefinisce il suo empowerment come madre e come donna. Passa dal subire i colpi a sferrarli, dal temere di non poter più creare artisticamente, a realizzare che è la più grande creatrice di tutte, quella della vita.
Abbandonando un'opportunità di unicità, la storia si ritira verso elementi meglio catturati in Thelma & Louise, o persino in
A Woman Under the Influence. Il film morde la mano che lo nutre, oscillando sul santificante. Il "Marito" di McNairy passa dall'essere una controparte responsabile in maniera genuina, a troppo apologetico. Madre vuole avere la botte piena e la moglie ubriaca. Allontanandosi dall'esprimere una normale spinta all'autocura verso un egoismo presuntuoso, getta la colpa all'esterno mentre si dà pacche sulle spalle. E cos'è successo a tutta la faccenda dei cani? Anche quella svanisce. Mentre Adams offre una performance di prim'ordine, questo film probabilmente scolpirà impressioni diverse per il pubblico che è genitore e quello che non lo è.
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