Festival di Venezia 2018, recensione del film L'heure de la sortie
Cinema / Recensione - 05 September 2018 10:00
L'heure de la sortie è il film con Laurent Lafitte
L'heure de la sortie è il film di Sébastien Marnier presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
Pierre Hoffman (Laurent Lafitte) è un insegnante di scuola superiore che come supplente sostituisce quello di ruolo, il quale è morto gettandosi dalla finestra davanti agli studenti increduli.
Pierre si trova in una classe in cui alcuni sei alunni risultano freddi e ostili, anche se intelligenti e precoci. Lui cerca di dimenticare la sua classe quando è a casa, ma è come se ne venisse risucchiato. Un pomeriggio mentre va in bicicletta nota che nel bosco proprio i suoi studenti hanno posato le bici per inerpicarsi in una cava. Qui eseguono dei giochi pericolosi, alcuni a confine con la morte.
Il film da semplice raccolto di formazione diviene thriller, come era anche nelle intenzioni del regista che ha ammesso di avere adattato il romanzo del 2004 L'ultima ora di Christophe Dufossé con questo obbiettivo. E la semplicità dei ragazzi che credono di crescere in un ambente accogliente, fa emergere una loro ostilità che può essere espressa solo con uno sfogo pericoloso, ovvero le esperienze estreme: oscillare dal pilastro di una cava mentre l’altro ragazzo sorregge una mano, temendo che la lasci; andare in apnea per più secondi del consentito, così da rischiare di annegare.
Quando Pierre comincia a comprendere la pericolosità della situazione, ne è ancora più scosso: infatti da alcuni video che ha scovato nella cava scopre che i ragazzi registrano clip di situazioni di decapitazioni di animali, uomini arsi vivi, altri suicidi come l’uomo che l’11 settembre 2001 si gettò da una delle Torri Gemelle, e altre scene violente che lo inquietano.
Pierre - che nota anche delle intromissioni nelle sua casa - comincia a provare timore: lo stesso che forse provava il professore suicida. Il film da thriller diventa quindi un’analisi psicologica su come i gesti altrui modifichino i propri comportamenti senza accorgersene. Il film indulge troppo in questo aspetto mistico, mostrando i ragazzi spesso come automi in balìa di un pulsione suicida, e lo stesso Pierre appare un osservatore troppo distaccato, tanto da sembrare un difensore che cerca di impedire l’irreparabile. Ed è qui che emerge l’aspetto letterario del film, che il regista avrebbe dovuto eliminare per dare maggiore ritmo ad una sceneggiatura spesso arbitraria nelle scelte.
Nonostante tali difetti il film riesce a restituire un senso di impotenza di fronte alle scelte dei ragazzi, che se coalizzati sembrano un solido muro che è impossibile varcare. Come suggerisce l’epilogo con la scelta dei giovani in gita scolastica che rubano il pullman: Pierre compie un gesto con cui cerca di restituire normalità alla vicenda.
© Riproduzione riservata