Recensione del comic 'Superman: Action Comics Vol. 1: Path Of Doom (Rebirth)'
Comics / Super Heroes / News - 08 March 2017 12:00
In "Superman: Action Comics Vol. 1: Path Of Doom (Rebirth)" il supereroe torna in vita: ma la domanda è chi sia l'altra persona che si fa chiamare Clark Kent.
Superman: Action Comics Vol. 1: Path Of Doom (Rebirth) è il volume della DC Comics pubblicato negli Stati Uniti il 21 febbraio 2017.
“Superman, il coraggioso e nobile nostro protettore è morto” (“Superman, our brave and noble protector is dead”), dice un impettito e calvo Lex Luthor alla folla. L’immagine è mostrata dal figlio di Clark Kent, Jon che la indica in un monitor.
Già da questo dettaglio lo sceneggiatore Dan Jurgens (leggi l'intervista) con i disegnatori Tyler Kirkham e Patrick Zircher riescono a restituire in 145 pagine il senso di una mancanza, quella che lo scrittore sancì nel gennaio del 1993 con la morte di Superman (“Dead of Superman”). Luther dichiara di essere il nuovo Superman, ha anche una lettere “S” sul petto.
Ma Superman torna per metterlo di fronte alla sua realtà: “Io sono l'unico che sa ciò che sei veramente” (“I’m the only one who knows what you really are”) gli intima. Segue una lotta nella classica grafica esplosa, per poi entrare in scena Doomsday, il mostro creato dal medesimo Jurgens nel novembre 1992 e che sancì la morte del supereroe. Lo stesso Doomsday è presente anche nel film “Batman Vs Superman”: si muove alla velocità del suono, è il personaggio più forte dell'universo DC, abbatte pareti di titanio con un dito, spicca salti di migliaia di miglia, vince la forza di attrazione tra materia e antimateria potendo sopravvivere alle esplosioni atomiche, ha un fattore rigenerante sovrumano tanto che le cicatrici si rimarginano.
L’ardua battaglia si svolge a Metropolis, con una casalinga Lois Lane che cerca di tranquillizzare il figlio Jon sulle potenzialità del padre.
Anche Lex Luthor è in difficoltà con Doomsday, tanto che una leggera alleanza con Superman pare segnare uno spirito di collaborazione. Ma in realtà il Superman che vediamo in azione non è Clark Kent, il quale ha dimesso il proprio ruolo. E Kent fatica a non agire, tanto che anche il figlio Jon vedendo in azione Superman crede che a lottare sia il padre.
La collaborazione prosegue con l’arrivo di Wonder Woman, la quale non comprende neanche la presenza di Clark, il quale chiede: “Cosa stai facendo qui?” (“What’re you doing here?”); “Dovrei chiedere lo stesso di te” (“I should ask the same of you”) risponde lei. E le dimissioni di Kent vengono opinate dalla medesima Wonder Woman: “I morti non tornare alla vita” (“The dead don’t come back to life”).
Superman interviene con sagacia: “Ti riferisci a l'uomo che dichiara di essere Clark Kent” (“You’re referring to that man claiming to be Clark Kent”). È lei a districare il mistero: “Quale modo migliore per convincere la gente che voi due non siete la stessa persona che far vedere sia Superman e Clark Kent?” (“What better way to convince people you two aren't the same person than to let them see both Superman and Clark Kent?”). Lei stessa non comprende come sia possibile questa sovrapposizione, e da scaltra Diana neanche crede troppo a quelle parole, tanto che poi comincia a lottare contro il mostro: a conferma che un’azione è più importante di multiple congetture.
E la frase di Superman diventa lapidaria: “Io non ho idea chi sia e da dove venga”. A siglare un’altra alleanza è poi l’incontro tra Lois Lane con Wonder Woman, che confabulano quasi raccontare momenti privati.
La collaborazione tra eroi è l’unica che riesce a sconfiggere Doomsday: la famiglia è ristabilita ma non si comprende chi sia sull’uomo che vagola facendosi chiamare Clark Kent. Quasi a simboleggiare un’alterità che può essere in noi: mai i due appaiono nella stessa inquadratura. Da qui la possibilità che Superman stia mentendo anche a Wonder Woman. Il messaggio certo è che le azioni compiute avranno sempre delle conseguenze, sia private che nell’interazione con le altre persone: se Superman è scomparso per un periodo, il suo ritorno non è inconfutabile. Neanche di fronte alla famiglia.
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