Libro James Joyce, Gente di Dublino: 15 racconti di epifanie e paralisi
Comics / News - 02 April 2014 15:30
James Joyce pubblica "Gente di Dublino" nel 1914: 15 racconti brevi tra realismo ottocentesco e l'oggettività necessaria a cogliere l'epifania joyciana. Nel 1987 John Huston ne dirige
James Joyce nasce a Dublino nel 1882. Si affaccia sulla scena letteraria ai primi del Novecento, quando il Decadentismo cerca nuove forme linguistiche in grado di esprimere la nevrosi della società moderna. Disfattosi delle convenzioni del romanzo vittoriano, Joyce rielabora la categoria del mito letterario contaminandolo con la banalità dell'eroe novecentesco. Legato alla cultura irlandese, di educazione cattolica, ben presto Joyce rifugge il provincialismo scegliendo un esilio personale e artistico tra Italia, Svizzera e Francia: Dublino e i suoi abitanti, trasferiti in una sorta di presente dantesco, rimangono il fulcro della sua produzione artistica.
Nel 1922 a Parigi esce "Ulisse", capolavoro accolto, insieme al poema "La terra desolata" di T.S. Eliot, come somma espressione dell'arte moderna.
Il critico Giorgio Melchiori saluta in Joyce il riuscito tentativo di restituire una tradizione narrativa liberando il romanzo “dall'incubo della storia” grazie alla concretezza salvifica di un nuovo linguaggio. La sperimentazione dello scrittore irlandese illumina la via da percorrere a Virginia Wolf e William Faulkner. Indubbia è l'eredità di Joyce raccolta dal teatro dell'assurdo e dalle avanguardie successive.
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Gente di Dublino è suddiviso in quindici racconti strutturati secondo le intenzioni dichiarate da Joyce all'editore Grant Richards: “Ho inteso scrivere un capitolo morale del mio Paese e ho scelto Dublino come ambientazione perché quella città mi sembrava costituire il centro della paralisi. Ho cercato di presentarla ad un pubblico indifferente sotto quattro aspetti: infanzia, adolescenza, maturità e vita pubblica. I racconti sono disposti in tale ordine”.
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Recensione - Dei racconti dell'Infanzia fanno parte “Le sorelle”, “Un incontro” e “Arabia”. Narrati in prima persona dal giovane protagonista, ne colgono l'inquietudine e la graduale disillusione rispetto alle tre vicende che lo vedono coinvolto: la morte del prete; la promessa di avventura nel marinare la scuola e l'incontro con un pervertito; l'amore coltivato per la sorella del miglior amico e il senso di frustrazione per doverla, infine, deludere.
Il senso di frustrazione matura nei protagonisti dei racconti dell'Adolescenza - “Eveline”, “Dopo la corsa”, “Due galanti”, “Pensione di famiglia” - che segnano il passaggio alla narrazione oggettiva in terza persona: in “Eveline”, per esempio, la ragazza non riesce, infine, a voltare le spalle alla propria misera vita, né all'Irlanda, per partire con l'uomo che ama, un marinaio in partenza per Buenos Aires; in “Pensione di famiglia” un giovane è costretto a sposare la figlia della proprietaria della pensione in cui vive, incapace di dare una svolta alla propria insoddisfacente routine e lasciare Dublino.
Nei racconti della Maturità - “Una piccola nube”, “Rivalsa”, “Polvere”, “Un caso pietoso” - i protagonisti sono mediocri intellettuali, braccati dalla consapevolezza di essere “esclusi dal banchetto della vita” determinata per loro stessa vocazione all'inerzia.
I quattro racconti di Vita pubblica chiudono l'opera puntando ironicamente il dito contro la politica locale (“Il giorno dell'edera”), l'oppressiva figura materna (“Una madre”), l'istituzione ecclesiastica (“La grazia”). Infine, “I morti” riassume tutte le contraddizioni concentrandole nel personaggio di Gabriel Conroy: giovane intellettuale sposato che, tra rimorsi e dubbi, opterà per l'esilio durante la silenziosa discesa della neve notturna su Dublino seppellendo tutti, i vivi e i morti. L'epifania echeggia nella propria coscienza.
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