Intervista a Federico Moccia

Cinema / News - 07 August 2024 15:00

Da Tre metri sopra a Poveri noi

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Film The Crow - video

Oggi c’è qualcosa che fa sentire Federico Moccia ancora a Tre metri sopra al cielo? Dal grande successo di Tre metri sopra al cielo a oggi, come è cambiato, se è cambiato, Federico Moccia?

Tre metri sopra al cielo è stato un momento unico, nel quale raccontavo una storia d’amore ma anche tutto quello che faceva parte della mia gioventù. Perché io avevo assistito a tutto quello che ho raccontato nel libro, chiaramente romanzandolo. MI è piaciuto quel momento. Iniziavano le prime palestre modello americano, quindi c’era gente che andava in palestra, che voleva diventare grossa, c’erano le risse per strada, c’erano gli imbucati delle feste, c’erano le corse con le moto, c’era una violenza di strada non indifferente. E in tutto questo c’era una storia d’amore da raccontare, che era la storia di una ragazza che andava da Falconieri e un ragazzo di buona famiglia, Stefano Mancini, che però aveva vissuto un momento molto difficile nei confronti di sua madre. Tutto questo è diventato Tre metri sopra al cielo. Io l’ho pubblicato per la prima volta il 16 novembre del 1992 con una piccola casa editrice, Il Ventaglio, alla quale ho dovuto pagare io, di tasca mia, come poi ho scoperto hanno fatto tanti grandi autori come lo stesso Alberto Moravia. Ed ero io in v’aspetta che lo portavo in giro. L’ho portato alle varie librerie dove compravo libri cercando di farlo conoscere. Ho fatto addirittura dei manifestini che distribuivo attraverso ragazzi che all’epoca pagavo cinquantamila lire perché dessero questi manifestini alle uscite delle università. La casa editrice Il Ventaglio ha chiuso qualche mese dopo e il libro ha iniziato a girare in fotocopia e dopo dieci anni è arrivato per caso nelle mani di Riccardo Tozzi che ha deciso di girare un film. Mi ha chiamato lasciando in segreteria: se sei Federico Moccia e hai scritto Tre metri sopra al cielo chiama il numero 06… Io ho chiamato, era Riccardo Tozzi, e sull’idea del film improvvisamente tutte le case editrici alle quali lo avevo spedito nel Novanta, dopo dodici anni, trovavano meraviglioso quel libro anche se non era cambiato di una virgola. Così ho deciso di pubblicare con la Feltrinelli che era l’unica alla quale io non avevo mai mandato il libro. Il libro è stato un incredibile successo, tanto da vendere un milioneottocientocinquantamila copie appena uscito, restando in testa nella classifica nazionale, al primo posto, e da lì c’è stato il successo europeo, poi internazionale, tanto che adesso è uscito anche in Amarica. Stare tre metri sopra al cielo secondo me è la condizione degli innamorati, una sensazione che provi nel momento che sei in armonia col vivere e che ti senti in qualche modo realizzato. Come è cambiato Federico Moccia da allora? Io non sono cambiato mai perché per fortuna in realtà questo successo è arrivato che avevo quasi quarant’anni quindi non c’era l’entusiasmo di un ragazzo, c’era un grandissimo entusiasmo ma riuscivo a restare, come mi aveva insegnato mio padre Pipolo, a restare saldo, con i piedi per terra. Sapendo poi che questo successo lo aveva voluto il pubblico, lo aveva voluto la gente, perché fotocopiandolo lo aveva imposto. Quindi questa è stata la cosa più bella. Adesso amo fare in giro degli spettacoli dove è una educazione sentimentale moderna che sto facendo con le scuole, dove parlo di orgoglio, bullismo, amore, ed è secondo me un altro modo per stare tre metri sopra al cielo.

Si può dire che il genere preferito da Federico Moccia sia romantico sentimentale? Cosa la spinge a scrivere storie d’amore?

Si può dire che è il genere romantico sentimentale. In realtà io ho sempre raccontato storie che riguardano la gente. La gente, la famiglia, gli amici. C’è un po’ di tutto, non c’è solo l’amore o la parte romantica. C’è il sogno. L’uomo che non voleva amare, per esempio, è un libro molto duro che parla di un rapporto difficile di un uomo che appunto non vuole amare con la chiesa, con un senso di colpa che lo accompagna e che incontra Sofia, una pianista particolarmente brava che ha rinunciato però a suonare e anche lei è mossa da un senso di colpa. All’interno dei miei libri ci sono le linee della vita. I tradimenti, i dolori, le gioie, la felicità, il rapporto con i genitori. L’importanza del rapporto con i genitori. Quanto ti manca, quanto vorresti, o quanto alla fine inevitabilmente segnano la tua vita. E ritorni a loro, e ripensi a loro anche quando riesci ad avere la tua personale nuova famiglia. Quando hai dei figli ti capita poi con più facilità di pensare a come sei stato tu nei confronti dei tuoi genitori. Quindi attraverso loro in qualche modo è anche un cerchio che si chiude.

Il suo prossimo lavoro è intitolato Poveri noi, di cui lei cura la sceneggiatura. Cosa può introdurre di questa nuova storia?

Il mio prossimo lavoro Poveri noi nasce da un’idea di un mio soggetto che è piaciuto molto a Fabrizio Maria Cortese e che ha deciso di farne una sceneggiatura insieme a me e poi realizzare lui stesso come regista il film. Mi piace molto questa commedia perché è una commedia nella quale, per assurdo, attraverso un momento difficile una famiglia scopre come bisogna credere nella famiglia, come bisogna essere uniti e come avvolte la gente che credevi essere tuoi amici ti voltano le spalle e le persone più insospettabili sono quelle che ti sorprendono nella vita. Questo devo dire che è capitato anche a me, quindi mi è piaciuto il fatto di vedere che persone dalle quali non mi sarei mai aspettato mi sono state vicine in alcuni momenti e persone che invece io credevo fossero persone amiche non lo sono assolutamente state. Mi sono trovato molto bene con Fabrizio Maria Cortese perché ha capito quali erano le linee più importanti del soggetto e mi auguro che venga un bel film dolce amaro con Paolo Ruffini, Ricky Memphis che sono questi amici che si ritrovano dopo tanti anni e affrontano insieme un momento di difficoltà che ha appunto Ricky Memphis.

Quanto sono importanti i sogni nella vita dei suoi personaggi?

Io credo che i sogni sono soprattutto importanti per noi. Noi dobbiamo sempre avere un sogno. Un sogno è un faro, è una guida maestra. È una linea, la tua voglia di raggiungere qualcosa. Il sogno è qualcosa che ci spinge è l’intuizione di qualcosa che ti va di raccontare, che hai voglia di perseguire. È una piccola sfida. Io credo che sia bello quando poi si realizza un sogno, ma in realtà nello stesso momento in cui lo realizzi hai bisogno di un nuovo sogno perché l’uomo è sempre in movimento quindi deve essere capace di poter gioire di un successo o di una realizzazione, comunque di un sogno, ma qualche tempo dopo ha bisogno di rimettersi in marcia. Quando tu pensi a un sogno vuol dire che qualcosa è realizzabile. Perché se tu c’hai pensato, se tu l’hai immaginato, se tu lo hai intravisto vuol dire che si può realizzare. Questa secondo me è la cosa più importante, cioè credere nel sogno tanto da riuscire a realizzarlo.

Cosa c’è nell’immediato futuro di Federico Moccia, qualche altro progetto oltre Poveri noi?

Subito dopo Poveri noi mi è venuta in mente una commedia molto divertente, la sto scrivendo. È un idea abbastanza nuova, immagino. Quindi ci sto lavorando cercando di farla come una macchinetta perfetta. Voglio scrivere la sceneggiatura prima di presentarla, ma solo quando sarà veramente azzeccata. Perché a volte si lavora con troppa fretta sui progetti, invece se tu hai più tempo, ci lavori prima e non hai fretta riesci a fare qualcosa che si realizza in tutto e che ha tutti gli aspetti che hai potuto prendere in considerazione prima di presentarlo. Così credo sia il modo migliore di realizzare un progetto

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