Festival di Venezia 2017, recensione del film 'The Private Life of a Modern Woman'
James Toback porta a Venezia il suo primo lungometraggio da 13 anni a questa parte, un flusso di coscienza soffocante e un po' pretenzioso di appena 70 minuti

Nei panni di Vera Lockman, Sierra Miller è la protagonista assoluta di “The Private Life of a Modern Woman”, diretto da James Toback e proiettato in anteprima mondiale alla 74° Mostra del Cinema di Venezia.
Vera è un’attrice di successo, con un magnifico loft nel centro di New York. Il film si apre con lei che si agita disperatamente nel letto, in preda ad un incubo in cui sogna di uccidere il suo ex-ragazzo, uno spacciatore di nome Sal, nel suo salotto durante una violenta colluttazione. Ma è davvero un incubo, oppure l’omicidio è effettivamente accaduto?
James Toback dedica i 70 minuti di “The Private Life” (da lui scritto appositamente per Sienna Miller dopo che un altro loro progetto, “Circle of Deceit” è fallito a causa della mancanza di fondi) alla ricerca di una risposta, una ricerca che porterà Vera ad interrogarsi sul significato stesso della propria identità, in un turbinio di soliloqui, voce fuori campo, e confronti con familiari ed amici. Tra questi c’è lo stesso Toback, che nei panni di Franklin sostiene una lunga conversazione con la donna in cui il confine tra personaggio e attrice, personaggio e regista, si fa labile, quasi invisibile.
Nella sua brevità, “The Private Life” è un’opera densa e a tratti forse un po’ troppo compiaciuta di sé stessa, un flusso di coscienza in cui Toback ha cercato di riversare quante più idee possibile.
Si veda ad esempio la colonna sonora, che spazia dalla Sinfonia n. 7 di Šostakovič, a “Please say you want me” dei Cleftones, alla Messa in Si minore di Bach; oppure la riproduzione del “Trittico del Giardino delle Delizie” di Hieronymus Bosch, che troneggia nel salotto di Vera. A questo proposito, Toback ha detto: “Wagner definiva l’opera come l’arte sinestetica per eccellenza, ma per me il cinema è l’unico mezzo che riesce veramente a mescolare tutte le arti, dalla poesia al dramma, dall’azione alla musica alla pittura”.
La ricchezza dei riferimenti e dei temi affrontati non sembra trovare sempre un riscontro nella sceneggiatura, e l’impatto dei momenti salienti della trama è sminuito dalla mancanza di un adeguato approfondimento psicologico.
“The Private Life” resta comunque un esperimento interessante soprattutto nel modo in cui fa di necessità virtù, raccontando la sua storia con un budget ridottissimo. Tutto il peso è sulle spalle di Sienna Miller, bravissima a trasmettere l’ambiguità e il tumulto interiore che caratterizzano il suo personaggio. Degne di nota sono anche le performance di Charles Grodin e di Alec Baldwin, quest’ultimo nei panni di un detective della polizia che a tratti sembra voler ricordare il Tenente Colombo.
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