La bottega dei suicidi: recensione. Soddisfatti o rimborsati
Patrice Leconte porta al cinema una storia di Jean Teulé dove la gioia di vivere di un bambino viene vista come una disgrazia dalla propria famiglia

La bottega dei suicidi è un affresco sarcastico dei rimedi estremi alle sofferenze che la vita può serbare. Tratto dal romanzo di Jean Teulé che ha partecipato alla scrittura della sceneggiatura, questo film d'animazione esprime una metafora piuttosto macabra dell'attuale società.
Tuvache e famiglia conducono una singolare attività commerciale. In una grigia e desolante città, con i suoi abitanti legati alle proprie vite routinarie e solitarie, Mishima Tuvache offre sollievo a buon mercato a chiunque voglia porre rimedio alle proprie insoddisfazioni. Gli affari si reggono sul sentimento di mestizia ma quando nella famiglia nasce il piccolo Alan tutto viene sconvolto dalla gioia di vita del ragazzino.
L'estremo rimedio alle angosce che derivano dall'esistenza è un tema ricorrente che già nella brillante commedia Arsenico e vecchi merletti del 1944, venne affrontato da Frank Capra. Una stravagante famiglia alleviava le sofferenze di persone sole offrendo vino corretto con arsenico. Capra che a sua volta si ispirò al testo teatrale di Joseph Kesselring, giustificò la singolare attività delle benefattrici con la pazzia delle medesime. In questa nuova commedia d'animazione c'è invece una sarcastica istigazione alla dipartita con l'offerta di strumenti di ogni genere, per far sentire le persone a proprio agio nell'affrontare un simile passaggio. Un negozio colorato contro una città grigia ed ostile, metafora interiore di come la quotidianità appassisce ogni speranza. Questa visione tetra viene controbilanciata dalla gioia di vita di un ragazzino, Alan viene utilizzato come metafora per rappresentare un età felice, spensierata. Il rapporto tra Mishima e Alan viene invece presentato come conflittuale, affaristico per il primo ed abbandonato alle gioie della vita per il secondo. Emerge un quadro sociale nel quale la voce della coscienza viene espressa attraverso il personaggio di Alan, una voce che vorrebbe non essere ascoltata perché crea disagio e sconvenienza per gli affari.
Il regista Patrice Leconte realizza una storia sarcastica e buonista che pone al centro il tema dell'esistenza e delle crisi interiori. Una metafora intelligente e sottile, ben condotta che permette di cogliere spunti riflessivi ma sa anche divertire allo stesso tempo. Un'animazione a tratti animata da uno spirito sinistro diretta ad un pubblico maturo se non fosse per una finale ottimista che tenta di accontentare gli spettatori più piccoli.
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