Recensione Source Code. La (fanta)scienza al servizio del mondo
Nel tentativo di sventare un attacco terroristico, un software militare è in grado di far rivivere gli ultimi otto minuti di vita di una persona morta.

Recensione Source Code. La (fanta)scienza al servizio del mondo. Sogno o realtà? Che succederebbe se all’improvviso ci si ritrovasse nel corpo di un altro? È quello che succede al Capitano Colter Stevens, e molte volte. Parte di una operazione militare top-secret, ha il compito di trovare un attentatore in otto minuti. Si perché un terrorista ha intenzione di far saltare in aria, con un ordigno nucleare, il centro di Chicago uccidendo più di due milioni di persone. E qui entra in gioco la scienza. Il passato è immutabile secondo la fisica, ma ipotesi scientifiche sembrano poter giustificare la presenza di infiniti universi paralleli identici a quello in cui viviamo. Come la piccola luminescenza che rimane intorno ad una lampadina rimasta accesa a lungo per un po’, la mente umana, dopo la morte, conserva per otto minuti l’energia elettrica necessaria a mantenere attiva la mente.
Uno scienziato - Jeffrey Wright – ha scoperto come unire le due cose. Il Source Code è un software in grado di far rivivere gli ultimi otto minuti di vita di una persona morta, nel passato e di un universo parallelo per poter individuare un terrorista che, nel futuro del nostro universo, ucciderà milioni di persone. “Fisica quantistica e calcolo parabolico”, complesso, forse, ma sicuramente stimolante.
Intelligente e accattivante, questo psico-thriller-fantascientifico unisce la tecnica del rewind – una costante nel film – ad elementi di spunto cognitivo che danno un effetto matrioska in grado di rimettere in discussione ogni possibile previsione.
Considerando che la pellicola è girata quasi per la totalità del tempo nello stesso scompartimento dello stesso treno, la narrazione è sempre vivida e vivace, non annoia. Anche i personaggi sono molto fedeli alla trama. Christina - Michelle Monaghan – è il ritorno alla normalità del capitano Colter, il suo contatto con la vita; interpretata con quotidianità disinvolta, gestisce la dicotomia normalità-assurdo con sapienza lasciando anche allo spettatore la possibilità di riadattarsi ogni volta alla stessa “scena” però ogni volta differente. Buono anche il resto del cast nella loro aderenza ai personaggi. Ogni piccolo gruppo – tra cui anche lo scienziato diviso nella rappresentazione del cattivo e dell’eroe – (ri)porta all’ambientazione corrente senza far mai confondere.
Finale sorprendente. Come da costante nella pellicola, anche quando si è convinti di aver completato il cerchio, si scopre che è ancora tutto differente rispetto a quello che ci si era immaginati.
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