Intervista a Domenico Iannacone: I dieci comandamenti, inchieste morali per una tv necessaria

Tv / Intervista - 11 April 2014 12:29

Domenico Iannacone è autore e conduttore de "I dieci comandamenti" in onda su Rai tre: Mauxa lo ha intervistato.

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Intervista a Domenico Iannacone. Venerdì 11 aprile alle 23.10 su Rai tre va in onda l'ultima puntata della seconda stagione de "I dieci comandamenti" la serie di "inchieste morali" ideate e condotte da Domenico Iannacone, un esempio di tv di qualità oggi più che mai necessario nel panorama televisivo. Abbiamo incontrato Iannacone in sala montaggio, mentre termina la messa a punto dell'ultima puntata.

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D. Tu stesso hai coniato per il tuo stile di narrazione televisiva la definizione di "inchiesta morale". Perché? 
R. Vengo da un lungo percorso professionale nell'inchiesta televisiva di indagine e denuncia, e a un certo punto ho sentito il bisogno di privilegiare uno sguardo più intimista, legato all'anima e alla dimensione esistenziale delle persone. Non raccolgo indizi per raggiungere una verità, piuttosto dal confronto con le storie personali cerco di far emergere un senso più profondo e per certi versi inafferrabile dell'esistenza, delle scelte di vita, dei problemi che si affrontano vivendo il nostro tempo. È come se avessi operato un arretramento rispetto al ruolo di giornalista. Non sono mai invadente, sto più ad ascoltare che a fare domande, mi concedo un tempo più ampio e dilatato della narrazione per sedimentare e riflettere.

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D. Ne “I dieci comandamenti” hai affrontato storie che variano da tematiche sociali, il caso della chiusura della fabbrica Mivar, a quelle più personali, come il caso del pentito di 'ndrangheta Luigi Bonaventura. Come scegliete le storie tu ed i tuoi collaboratori?
R. Le storie sono scelte attraverso sensazioni ed esperienze personali. In anni di lavoro le ho accumulate ed archiviate mentalmente: nella prima serie del programma un comandamento dettava le storie da raccontare. In questa seconda serie invece le storie sono più libere. La vicenda di Emanuele Feltri, ad esempio, giovane agricoltore siciliano osteggiato dalla mafia, era nella stessa puntata in cui raccontavo di alcuni ragazzi che a Roma aggiustano gratuitamente biciclette riciclando i pezzi di ricambio.

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D. Cosa tratterà l'ultima puntata de "I dieci Comandamenti"?
R. Della bellezza incomprensibile, di quegli aspetti della vita meno evidenti, anche oscuri e segreti che in realtà hanno una loro profonda bellezza. Raccontiamo il mondo dell'Istituto Cottolengo di Torino, un luogo considerato per decenni una sorta di "deposito di mostri e malattie scomode". Il viaggio al suo interno ci mostra invece una bellezza che permette di sperare nelle cose. Nella seconda storia raccontiamo Fausto delle Chiaie, un geniale artista di strada che da 25 anni crea ed espone opere nell'area a ridosso dell'Ara Pacis, nel centro storico di Roma, con l'idea che la sua presenza nel luogo sia già di per sé un'espressione artistica.

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D. Tu hai vinto diverse volte il Premio Ilaria Alpi, con inchieste come "Il terzo mondo", sul quartiere  Scampia di Napoli e "Il progetto, storia di una Italia incosciente". Sei il giornalista che più e prima degli altri ha portato alla luce il dramma della "terra dei fuochi"; come hai realizzato queste inchieste?
R. Come dicevo, si tratta un aspetto forte della mia esperienza professionale, al quale ho lavorato per anni con convinzione e nel quale credo ancora pur facendo oggi scelte diverse. In quella dimensione facevo l'analisi della verità. A Scampia eravamo intrisi necessariamente di realismo, attraversavamo una zona di spazio violentissima, una realtà che non lasciava scampo a possibilità di salvezza. A l'Aquila, per "Presa Diretta" di Riccardo Iacona dopo il terremoto mi domandai come si poteva ricostruire in quelle zone. Creai così un progetto di ricostruzione falso, approvato dai vari organi burocratici, poi documentai che inesorabilmente, non si stava facendo un bel nulla. 

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D. E per la terza serie de "I Dieci comandamenti"?
R. Andremo in onda a Settembre, con delle piccole novità, ma l'impianto generale resta quello attuale. Con questa scelta di narrazione dilatata, riflessiva e "posata" dal punto di vista della costruzione e cura delle immagini, è come se la gente avesse riscoperto una modalità quasi dimenticata di fruizione televisiva, almeno questo ci dicono i tanti spettatori che ci seguono. Perduti come siamo tra talk, news e approfondimenti politici, l'universo morale è il "luogo" più inesplorato che ci sia. La notizia in televisione è passata al tritacarne, non ha più consistenza, e serve un ancoraggio, una sponda dalla quale cercare di capire meglio chi siamo. 

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D. Secondo te il giornalismo televisivo odierno può essere ancora considerato imparziale, oppure filtra la realtà mostrando solo gli aspetti che interessano alle varie linee editoriali? 
R. Spesso i giornalisti finiscono per assomigliare ai programmi che fanno. È come se si fosse assorbiti dalla cosa per la quale si lavora. Se ascolti in tv l'incipit di un servizio giornalistico non riesci a distinguerlo da un altro. Tutto è stato omologato.  In troppi si somigliano. 

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D. Qual è il tuo programma televisivo preferito ?
R. In questo periodo di lavoro intenso sto vedendo poca televisione. 

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D. Il tuo film preferito ?
R. "The tree of life" di Terrence Malick. E più in generale direi Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. In passato ho collaborato con la rivista "La tartaruga" di Amelia Rosselli e per me la poesia è sempre un elemento fondamentale, in questo la ricerca della parola è affine alla ricerca dell'immagine. 

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D. Cosa pensi della commistione tra giornalismo e intrattenimento, diciamo sul genere di "Porta a porta" per citarne un esempio?
R. È un tentativo di mediazione tra racconto, realtà e spettacolo che non mi appassiona. Inoltre in generale, mi preoccupa la presenza quotidiana dei politici nelle trasmissioni di qualunque tipo; è un fenomeno che si autoalimenta fino a diventare una sorta di rappresentazione itinerante. Politici che passano da uno studio all'altro come una compagnia di girovaghi, replicando lo stesso copione.

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D. Il sistema tv è monopolizzato, sembra sempre più difficile proporre idee e realizzarle. Pensi che il web possa essere il luogo dove proporre nuove forme di reportage?
R. Si, anche se serve ancora tempo per crescere in quella dimensione. Una parte importante della nostra diffusione comunque arriva già da lì, ed è nella rete che già oggi verifichiamo l'esistenza di un rapporto reale col pubblico che ci scrive e ci aiuta a mettere a fuoco meglio il nostro lavoro. Abbiamo una collocazione oraria difficile, e molti spettatori "ci recuperano" appunto online. 

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