Canti

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I Canti di Giacomo Leopardi sono una serie di trentasei poesie raccolte per la prima volta nella pubblicazione del 1835.

Il primo dei canti è “All’Italia” e “Sul monumento di Dante” entrambi del 1818: qui Leopardi si distanzia dalla poesia politica di Alessandro Manzoni, lasciando trasparire una sofferenza personale nella congerie storica. Dopo un problema di salute agli occhi nel 1819 compone “L’infinito”, dove si riscopre il piacere dell’immaginazione che sa porre fine alle problematiche personali, per “naufragare” nel mare dei sogni. Il ricordo trova espressione in “Alla Luna” (1819), e ad esso si contrappone una natura insensibile allo svolgersi delle fatiche umane: nascono “La sera del dì di festa”, “Il sogno”, l'opposizione alla fortuna manifestata ne “La vita solitaria”. Solo una Luna che cade sul prato può‘ salvare l’uomo, così come accade ne “Lo spavento notturno”, segno della complessità di raggiungere una serenità.

Il ricordo diventa anche storico e letterario: in “Ad Angelo Mai” (1820) si contrappongono i grandi come Dante Alighieri e Vittorio Alfieri al “secol di fango” attuale, dove emerge tedio e coscienza del nulla. Anche la religione è evanescente, come traspare in “Nelle nozze della sorella Paolina” e “A un vincitore nel pallone” (1821), dove si esalta il modello del corpo secondo il modello pagano dell’educazione antica. Anche l’età fanciullesca comincia ad essere un rimedio all’oppressione adulta, emergendo in “Alla primavera” e “Inno ai patriarchi”.

Il pessimismo torna prepotente con “A Silvia” (1828) dove la fanciulla che muore precocemente è simbolo dello svanire delle speranze giovanili !all’apparire del vero”. Ne “Il passero solitario”, “La quiete dopo la tempesta”, “Il sabato del villaggio” il mondo idillico contadino soggiace alle riflessioni, che assumono il tono di parabola. Anche “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” propone uno stile raziocinante fatto di domande incessanti, “Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?”. La medesima epigrafe dell’ultimo verso è una sentenza di pessimismo cosmico, “è funesto a chi nasce il dì natale”.

Un ottimismo appare sia grazie al trasferimento a Napoli con varie esperienze di amicizia, sia con l’amore per la fiorentina Fanny Targioni Tozzetti. L’atteggiamento agonistico appare in “Pensiero dominante” (1830), con un ritmo che echeggia una passione sconvolgente. “Amore e morte” propone un’alternanza tra “eros” e “thanatos” inusuale per Leopardi. “A se stesso” è una rivolta titanica del poeta contro “l'infinità vanità del tutto”.

I “Canti” terminano con “Il tramonto della Luna”, che oscilla tra un tono immateriale e il disincanto. Infine il capolavoro “Ginestra”, dove alla Natura matrigne si oppone il fiore che cresce sulla lava, simboleggiata da un “secol superbo e sciocco”. Un messaggio inaspettato lascia Leopardi nell’ultima lirica, fiducioso nelle “magnifiche sorti e progressive”.

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