La quinta sezione del Consiglio di Stato ha respinto l’appello promosso dall’Associazione Pendolari Piacenza e la Confconsumatori APS, avvalorando le eccezioni sollevate dal Prof. Avv. Stefano Vinti in qualità di difensore della parte appellata.
La
vicenda trae origine dal ricorso promosso dall’Associazione Pendolari Piacenza
e la Confconsumatori APS, dinanzi al T.A.R. Lombardia – Sede di Milano, ai sensi
dell’art. 1 del d.lgs. n. 198/2009 (c.d. class action pubblica) nei
confronti della società Grandi Stazioni Retail S.p.a., quale concessionaria in merito agli impianti pubblicitari presenti in stazione, ai contratti di locazione a terzi e sulla dislocazione di spazi e/o di locali destinati e attrezzati per la sosta degli utenti del servizio ferroviario presso la stazione Centrale di Milano.
Il contratti di locazione a terzi e la dislocazione di spazi
In particolare, i ricorrenti lamentavano la netta sproporzione tra le aree dedicate alle attività commerciali e quelle dedicate al servizio ferroviario, ovvero all’interesse pubbliche, così come risultante dai mappali della Stazione.
Le ricorrenti si dolevano degli standard qualitativi insiti, ex lege, nella definizione stessa dei beni a destinazione pubblicistica, ravvisando una lesione diretta, concreta ed attuale degli interessi dei loro rappresentati, come conseguenza del comportamento posto in essere dal gestore.
A detta di parte ricorrente: “i beni destinati a pubblico servizio non possono essere sottratti alla loro destinazione senza il consenso dell’ente. Il servizio ferroviario deve essere considerato un servizio pubblico e tale qualifica comporta e richiede che la gestione del servizio possa essere conformata (dalla legge o da provvedimenti amministrativi) anche nelle scelte di organizzazione e gestione in modo di soddisfare al meglio le esigenze della collettività”.
I primo grado il ricorso è stato respinto per infondatezza dell’azione in ragione dell’assenza dei requisiti oggettivi richiesti dalla legge ai fini della class action, in quanto le ricorrenti non avevano fornito alcuna indicazione specifica sugli standard qualitativi violati, facendo riferimento a generici livelli di qualità derivanti dalla destinazione pubblica del servizio, e non avevano neppure chiarito quali erano le disposizioni dell’Autorità preposta alla regolazione ed al controllo del settore contenti gli standard asseritamente violati dal gestore.
L’Associazione Pendolari Piacenza e la Confederazione Generale dei Consumatori hanno proposto appello avverso la suddetta decisione lamentando un’errata interpretazione della disciplina di riferimento.
Il Prof. Avv. Stefano Vinti per la parte appellata ha avuto modo di ribadire le eccezioni già sollevate in occasione del giudizio di primo grado, rilevando come le associazioni non avessero in alcun modo dimostrato una concreta ed effettiva ipotesi di “violazione di standard qualitativi ed economici” in palese contrasto con quanto espressamente previsto dalla normativa di riferimento di cui all’art. 1, comma 1, del citato d.lgs. n. 198/2009, ai fini della esperibilità della c.d. class action pubblica.
Ed invero, la difesa della parte appellata, come poi ha confermato il Consiglio di Stato nella sentenza in commento, ha ribadito che il presupposto di ammissibilità dell’azione deve necessariamente passare attraverso la verifica della sussistenza di uno dei seguenti comportamenti tipizzati:
a) la violazione di termini o la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento;
b) la violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi;
c) la violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti per i concessionari di servizi pubblici, dalle Autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e per le pubbliche amministrazioni.
Si è, infatti, avuto modo di sottolineare come la controparte avesse eccepito la violazione di standard qualitativi senza fornire tuttavia alcun richiamo ad una normativa asseritamente violata o a disposizioni dell’Autorità preposta alla regolazione ed al controllo del settore (nel caso in esame Autorità di Regolazione dei Trasporti, c.d. ART) anch’esse non rispettate.
Il Consiglio di Stato, nel ribadire la mancanza dei presupposti a fondamento della class action pubblica, e quindi nel respingere l’appello in quanto infondato, sottolinea e chiarisce che: “l’azione per la violazione degli standard qualitativi presuppone la presenza di una definizione dei livelli qualitativi ed economici, che non siano semplicemente desumibili dalla natura e destinazione dei beni di cui si tratta, ma più, specificamente, “stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore”, ossia, nella fattispecie, dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART)”. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle associazioni appellanti: “la destinazione pubblica del servizio non è un elemento sufficiente a definire i livelli qualitativi richiesti, atteso che l’azione collettiva non attribuisce la possibilità di agire in via generale avverso forme di inefficienza, ma necessita che i criteri di qualità siano chiaramente stabiliti dalle amministrazioni.”