Venezia 76, recensione del film Il varco
Cinema / Recensione - 06 September 2019 16:30
Il varco è presentato alla Mostra del Cinema di Venezia
Il varco è il film documentario presentato nella sezione Sconfini della Mostra del Cinema di Venezia. L’opera è tessuta con materiali di repertorio, e su questi innesta la finzione di un soldato italiano che nel 1941 parte per il fronte sovietico. L’esercito fascista è alleato di quello nazista, e se la vittoria appare prossima il nostro protagonista si sofferma su dettagli che le immagini in bianco e nero amplificano.
Si passa dai ricordi delle favole raccontate dalla madre russa, alle steppe del territorio ucraino dove lui è diretto, dai cadaveri dei primi morti al gelo della neve. Il suo desiderio ora non è più lo stesso di quando è partito, bensì accovacciarsi su un letto caldo, assaggiare del cibo normale e tornare a casa. La stessa steppa diviene popolata da fantasmi, mentre i suoni evocano un presente distante dalle immagini mostrate.
È proprio questa frizione a rendere interessante il film Il varco, diretto da Federico Ferrone e Michele Manzolini: la differenza tra la lontananza cui le scene di repertorio rimandano, e l’attualità della voce fuori campo in cui il protagonista racconta se stesso. Quasi fosse una biografia inventata, ma comunque credibile. Infatti la sceneggiatura - scritta dai registi assieme a Wu Ming 2 - è ispirata liberamente ispirata alle vite e ai diari dei militari Guido Balzani, Remo Canetta, Enrico Chierici, Adolfo Franzini, Nuto Revelli, Mario Rigoni Ster.
Il tempo presente viene evocato anche nelle immagini finali, quando dalla campagna di Russia nella Seconda Guerra Mondiale si passa ai frammenti della guerra che si combatte oggi in Ucraina, negli stessi luoghi. Dal 2014 infatti il conflitto del Donbass - tra Russia e Ucraina - ha causato quasi 10.000 morti. La battaglia diventa quindi perenne. Lo stesso protagonista ricorda spesso gli orrori della guerra coloniale italiana in Africa, cui partecipò.
Un film temerario e innovativo che - pur se nella spesso eccessiva lentezza - sa mescolare i frammenti di un’esperienza che rimane sempre contingente.
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