Recensione Il sacrificio del cervo sacro con Nicole Kidman e Colin Farrell, premiato a Cannes
Il film di Yorgos Lanthimos, in sala dal 28 giugno.

Il sacrificio del cervo sacro (The Killing of a Sacred Deer) è il film di Yorgos Lanthimos che, a Cannes, ha vinto la Palma d'oro per la Miglior sceneggiatura, realizzata dal regista greco in collaborazione con Efthymis Filippou.
Steven Murphy (Colin Farrell) è uno stimato cardiochirurgo. Vive una vita agiata, insieme alla moglie medico Anna (Nicole Kidman) e i due figli, il piccolo di casa Bob (Sunny Suljic) e l'ormai adolescente Kim (Raffey Cassidy).
Steven ha una misteriosa frequentazione con Martin (Barry Keoghan), un ragazzo estremamente accondiscendente e solitario. Martin ha di recente perso il padre.
Tra un incontro alla caffetteria e un regalo, Steven introduce Martin nella sua cerchia famigliare. Moglie e figlia rimangono affascinate dalla sua natura gentile. Martin vuole ricambiare il gesto e invita il dottore a cena, il giorno successivo, a casa sua. La serata prende una piega imbarazzante con l'uomo costretto a fuggire dalle spinte avances della madre (Alicia Silverstone) del giovane.
A
questo punto, Lanthimos decide di scoprire, anche se con parsimonia,
le carte. L'adorabile Bob comincia a stare male. Una mattina si
sveglia senza più riuscire a camminare. Ricoverato all'ospedale,
dove lavora il padre, comincia a rifiutare il cibo. Esami e analisi
danno riscontri negativi. L'equipe, composta da luminari, è costretta a concludere che si possa trattare di una malattia
psicosomatica.
Nel frattempo, anche Kim rimane paralizzata e non
riesce a ingoiare niente di solido.
Martin obbliga il cardiochirurgo a un incontro. Da qui in poi, la trama rivela il debito alla tragedia di Euripede, Ifigenia in Aulide.
Il sacrificio del cervo sacro è un film provocatorio, cifra stilistica abitualmente riconosciuta nelle corde di Lanthimos. I limiti dell'orizzonte borghese sono messi a nudo anche, forse, grazie alle scelte drammaturgiche di certe sequenze disturbanti. La mancanza di empatia con il destino tragico dei protagonisti, a parte il piccolo Bob, non può essere un caso.
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