Recensione film Ippocrate, l'applaudito diario di un medico francese
Cinema / Recensione - 04 June 2018 08:00
In sala dal 7 giugno.
Ippocrate (Hippocrate o Hippocrates: Diary of a French Doctor, rispettivamente il titolo originale e in lingua inglese) è un film francese del 2014, scritto e diretto da Thomas Lilti. Presentato a Cannes, ha ricevuto ben sette nomination ai César, con Reda Kateb che si è guadagnato la statuetta come Miglior attore non protagonista.
Benjamin (Vincent Lacoste) è un giovanissimo medico, figlio del primario del reparto (Jacques Gamblin) di medicina interna di una struttura ospedaliera di Parigi. È entusiasta al suo primo giorno da tirocinante. Confida di aver capito di essere diventato un vero medico quando sul lettino gli è capitato un bullo dei tempi della scuola: i sentimenti di rivalsa scompaiono e quel ragazzo rimane soltanto un paziente da curare.
In realtà, i primi giorni nel reparto, lo mettono a dura prova. Gli muore un paziente a cui avrebbe dovuto fare un elettrocardiogramma. Ci rinuncia perché il personale infermieristico gli suggerisce di lasciare perdere, il macchinario non funziona troppo bene. Lemoine è una vecchia conoscenza del reparto, affetto da pancreatite a causa dell'abuso di alcol.
Quando il paziente muore, Benjamin viene coperto dallo staff medico. Il ragazzo, tuttavia, non si dà pace: quell'uomo, anche se ormai viveva per strada, aveva una moglie e una figlia che chiedono informazioni. Il padre, dottor Barois, lo tranquillizza, neanche troppo: i medici non sono superuomini, conviene aiutarsi l'uno con l'altro.
C'è
un altro medico appena arrivato in reparto: l'algerino Abdel (Reda
Kateb), con una situazione famigliare ed economica disagiata, molto
esperto.
Le vicende scuotono le coscienze con il caso di un'ottuagenaria, malata terminale di
cancro.
Ippocrate è un applaudito film di attualità, grazie alla complessità delle tematiche messe in campo. In ospedale scarseggia il budget per le apparecchiature mediche, i posti letto (da liberare alla svelta), il personale.
I
medici sembrano impiegati, assolvono il lavoro
quotidiano. D'altro lato, lo stress è tale da concedersi eccessi
goliardici da invasati e litigate per il turno di Natale.
Il
medico non è un mestiere, ma una specie di maledizione: confiderà
Abdel a un Benjamin in procinto di gettare la spugna.
Il finale riserva un'auspicabile ripartenza “a colori”.
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