Recensione di Io sono Mia con Serena Rossi
In sala dal 14 al 16 gennaio per Netflix, a febbraio su Rai 1.
La Francia aveva Edith Piaf. L'Italia, Mia Martini. Difficile raccontare la vita di Mia Martini in un film per il grande schermo. La scelta di un buon prodotto targato Rai fiction si è rivelata felice. La regia di Io sono Mia , in uscita nelle sale cinematografiche fino a mercoledì, è affidata a Riccardo Donna, alle spalle un inizio di carriera come cantautore.
È Serena Rossi a vestire i panni dell'indimenticata artista, amata dalla gente e dai musicisti. Ne ha studiato ogni gesto: dal modo di parlare a quello di sorridere, all'inizio timido, poi aperto e contagioso. L'esperienza di Tale e Quale Show le ha giovato. Riesce a restituire un ritratto di Mia Martini convincente, anche come cantante.
Schede
Sono cinque le canzoni scelte e interpretate dall'attrice. Segnano altrettante tappe cruciali nella biografia di Mia Martini: sono Padre davvero (1971), Piccolo uomo (1972), Minuetto (1973), E non finisce mica il cielo (1982), Almeno tu nell'universo (1989).
La performance di tutto il cast è lodevole. Si percepisce la dedizione di tutti gli attori nel contribuire al progetto. E dedizione è una parola fondamentale per raccontare Mia Martini. Tuttavia, la sua totale dedizione alla musica, oltre al talento, sembra aver attirato l'invidia nell'ambiente discografico. L'amore per la musica, l'attenzione ai dettagli: così si è guadagnata la nomea di rompiballe. Un carattere impossibile, gira voce. Davvero? Mia Martini è una donna determinata a non scendere a compromessi in un ambito, come quello musicale, in cui vincere a suon di colpi bassi è la regola. È tenace e indipendente.
Si è parlato di Renato Zero e Ivano Fossati. Due figure importanti nella vita della Martini che non hanno voluto essere menzionati nella fiction. Comunque, la sceneggiatura di Monica Rametta ha saputo sublimarne le presenze. Tra gli amici di Mimì, rappresentati sullo schermo, ci sono Bruno Lauzi, Alba (Nina Torresi), Franco Califano (Edoardo Pesce).
L'edizione di Sanremo del 1989 segna il ritorno di Mia Martini. Il pretesto drammaturgico è collaudato nel biopic (forse non è un caso, è lo stesso di La Vie en rose, film biografico su Edith Piaf, del 2007): l'intervista con una giornalista del settimanale Epoca (Lucia Mascino). La donna è giunta a Sanremo per incontrare Ray Charles. È brava, suggerisce il film: in un mondo maschile e competitivo, la sua brillante penna viene sacrificata per una giovane, meno incisiva. Dinamiche che ricorrono.
La sequenza iniziale è parzialmente seguita dall'alto: Sanremo, rappresentata come uno spettacolo manovrato dalla longa manus della politica, per posarsi su una figura femminile minuta che avanza di spalle. Risoluta. Il grosso dei dispiaceri, forse ormai, appartengono al passato.
Al passato appartengono un'infanzia difficile con un padre autoritario; le serate nei locali con l'effervescente sorella Loredana (Dajana Roncione); l'incontro con un ambiguo impresario; e quello fondamentale con Alberigo Crocetta (Antonio Gerardi), produttore discografico, fondatore del club Piper, fucina e crocevia di scoperte musicali.
La jella gioca un incredibile, doloroso capitolo nella carriera di
Mia Martini. A riguardo, il film è garbatamente discreto: si parla
di un mixer saltato e luci che cadono durante uno show, ma anche di
un locale che si svuota, improvvisamente, alla sua presenza.
Nella
realtà, infatti, la maldicenza supera la fantasia. Inizia con due musicisti
morti in un incidente di auto al ritorno di un tour. O forse comincia
prima, con una balla inventata. Le malelingue si incattiviscono.
Impietose, oltre ogni decenza. Calunnie incontrollabili, mentre Mia
Martini è occupata, presente nella sua vita. Colta, indaffarata,
ironica, innamorata e piena di progetti. Da un tour canadese con
Charles Aznavour a una collaborazione con Pino Daniele, artista che
Mia Martini amava moltissimo.
A
un certo punto, è troppo tardi: nonostante il ritorno a Sanremo,
dopo il ritiro dalle scene. Come è potuto succedere? Di fatto, è accaduto.
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